[Questa è la mia prima recensione, ci sono un sacco di errori e banalità, prima o poi ne farò una nuova versione totalmente diversa (anche nel giudizio), ma mi piace che resti qua, con tutti i suoi difetti e le cazzate.]
Chiariamo: questo blog parla di musica ovviamente, ma non più seriamente di come voi parlereste, in una bella serata tra a amici, dell’ultimo film di Sylvester Stallone. Chiaro? Bene.
Come saprete è uscito l’ultimo disco dei Soundgarden “King Animal“, non ho ancora avuto il tempo per ascoltarlo se non per l’unico singolo uscito (Been Away Too Long), ma per l’occasione ho deciso di battezzare questo blog chiacchierando con voi del loro maggior successo: “Superunknown“.
Un paio di premesse: fanno heavy metal, abbastanza tosto. Negli anni ’90 c’è stato un po’ di casino nel rock, sia nella sua accezione diciamo “classic” che nella sua accezione “heavy”. La progressiva disgregazione in generi e sotto-generi ha trovato il suo culmine proprio nei ’90, ma in realtà la questione è piuttosto semplice perché a parte i residui di alcune correnti storiche (come il progressive) possiamo ridurre il panorama in: metal (e i suoi derivati), rock alternativo e grunge.
Il grunge è un genere che riconduciamo perlopiù tra la fine degli ottanta e i primi novanta, purtroppo si fa davvero una confusione snervante su cosa sia e quali siano i gruppi che lo rappresentavano. Diciamo che la prossima volta ci farò un post, ma vorrei solo puntualizzare che di grunge i Soundgarden hanno forse l’origine e i temi trattati in comune, però il sound ha preso molto velocemente chiare tinte heavy metal. Basta.
A me i primi dischi dei Soundgarden non mi fanno impazzire. Sebbene la tecnica, le ottime influenze, il sound piuttosto fresco e via dicendo, la sensazione che provo ascoltando per in intero dischi come “Ultramega Ok“, “Louder than love” e “Badmotorfinger“ è quella di una costante sensazione di confusione. Ci sono singoli di grande potenza e completezza, ma in un contesto disordinato e piuttosto rumoroso (il che non è un problema di solito, anzi, ma non è un rumore esplicitamente espressivo come nel garage, suona quasi casuale)
“Superunknown” esce nel 1994 con l’etichetta A&M Records, casa discografica che aveva tra i suoi pezzi forti gente come Joe Cocker e il nostro Gino Vannelli, mentre tra quelli un meno forti (o se volete tragicomici) i Nazareth e gli Extreme. Superunknown è un piccola perla di saggezza in un anno complicato per il rock tra l’egemonia grunge, dei Nirvana e dei Pearl Jam, e una rivoluzione in corso d’opera nell’ambiente alternative con “Mellow Gold” di Beck. La prima cosa che sconvolge l’ascoltatore è l’armonia, il lavoro di produzione e mixaggio sono clamorosi, tra i i più belli in ambito metal (come non citare per fare un esempio “Vol. 3 (The Subliminal Verses)” degli Slipknot, opera del grandissimo Rick Rubin), difatti invece della solita confusione ci si trova di fronte un disco di cui non cambieresti una virgola.
C’è chi vi dirà “è il disco più commerciale dei Soundgarden!”, se per commerciale intende “comprensibile” forse ha ragione.
Non c’è una traccia che spunta particolarmente tra le altre, il disco scorre giù senza intoppi. Magari pezzi come Half sono un po’ troppo protesi verso una psichedelia che strizza l’occhio agli Zep di Kashmir (fra l’altro il tema psichedelico è sempre stato presente nei lavori precedenti), spezzando un po’ le logiche fin lì protratte, ma il pezzo in sé è più che apprezzabile.
The Day I Tried To Live è il pezzo più prevedibile, quelli con un sound più spiccatamente moderno sono certamente Fell On Black Days e Superunknown, che contengono ancora qualche divertente accenno di punk (altra declinazione sempre presente nei lavori della band).
Il pezzo più famoso è certamente Black Hole Sun, fra l’altro uno dei video più angoscianti di anni strapieni di video veramente angoscianti.
Le linee di basso sono un piacere inestimabile, credo che nella produzione di Ben Shepherd (non fortunatissimo al di fuori del gruppo) siano la cosa migliore che gli sia mai passata per la testa. La batteria spesso mi ipnotizza, come in Spoonman, dove ritmi metal e tribali sembrano fondersi nell’ennesimo rimando ai Led Zeppelin, fra l’altro chiodo fisso di Cornell anche negli Audioslave dove troverà a dargli man forte su questo aspetto anche Morello.
Di questo disco credo di non aver mai apprezzato a pieno il lavoro del chitarrista, Kim Thayil. Sì, lo so, è molto sottovalutato, è un bestia, è fortissimo, sei un demente se non ti piace e via dicendo, però a me gli assoli di Thayil mi fanno venire prurito alle mani, che ci posso fare? Sulla tecnica non mi metterò mai a parlare in questo blog, quindi se volete fate vobis.
Trovo che nell’armonia di pezzi come Spoonman l’assolo di Thayil ci stia come il ketchup sulla pizza, pazienza.
Sugli altri membri della band niente da ridire, sebbene le ultime virate pop del bravo Chris Cornell mi abbiano fatto prendere un ulcera fulminante mi accontento degli ottimi lavori fin lì fatti.
Ah, l’ultimo disco, come vi ho detto non l’ho ascoltato, ma dal singolo estratto che vi citavo a inizio post mi sembra che siamo tornati a quella buona confusione di un tempo, adesso pure anacronistica. Però non si sa mai, prima l’ascolterò sempre fiducioso (sono ottimista di natura) poi ne parleremo un’altra volta magari.
Mi scuso in anticipo per la confusione, se manca qualcosa o dico solo cazzate, siete liberi di insultarmi nei commenti.
E non dimenticatevi di provare a suonare un sassofono!
- Pro: lo ascolti tutto senza mai saltare una traccia e non è una cosa che succede spesso nel mondo del rock più blasonato.
- Contro: no, non sono i lavori dei muratori nel piano di sotto, sono proprio gli assoli di Thayil.
- Pezzo consigliato: tutto il disco tutto d’un fiato.
- Voto: 7/10
[ringrazio Ares, che nel leggere questo post si è accorto che avevo scambiato impunemente il nome di Kim Thayil con quello di Kim Warnick, vorrei poter dire che è stato un lapsus dovuto al fatto che credo che Thayil suoni come una ragazzina, ma in realtà è stato un indecente errore di copia-incolla]
Non so se questo post sia uno scherzo o cosa, ma Kim Warnick era la bassista (donna) dei Fastbacks. Il chitarrista (uomo) dei Soundgarden si chiama Kim Thayil. Spero sia solo una svista.
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In realtà credo sia stata una clamorosa svista nel copia incolla dal vecchio blog, un discreto casino in effetti!
Beh, grazie davvero, provvedo tosto alla correzione (nominandoti, quantomeno).
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questo disco è una bombaaaa. l’ho scoperto a 16 anni e a 28 ancora lo ascolto, sebbene mi sia dato a genere ben diversi dall’heavy metal.
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L’heavy ormai me lo sono lasciato alle spalle (assieme al burro di arachidi e alle figurine di Ken il guerrero), ma questo disco è un po’ qualcosa di imprescindibile dai gusti e dai diversi momenti della vita.
Tanta roba.
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