Deep Purple – Bananas

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So che per questo post sarò pestato in strada da qualche fan dei Deep Purple, ma è giusto così. I motivi per cui “Bananas” è secondo me uno degli Album Più Brutti Di Tutti I Tempi non sono da ricondursi all’album in sé quanto alla storia dei Purple.

Che i Deep Purple abbiano fatto la storia del rock più hard non sono di certo io che lo dico, è un dato oggettivo. Dischi come “In Rock” ti fanno QUANTOMENO balzare dalla sedia ad ogni fottuto riff, potenza pura, un botto di virtuosismo (troppo per i miei gusti), ogni elemento della band interpretava al meglio il suo strumento. Ma non è sempre stato così.

La band inglese è tra le più incasinate di sempre, raramente gli stessi elementi stavano assieme per più di due album e i membri più longevi sono quelli che hanno saputo mettersi da parte durante le feroci liti che seguivano ad ogni tour o ad ogni registrazione. Di certo i più focosi furono Ritchie Blackmore e Ian Gillian i quali ci hanno lasciato un mastodontico campionario di insulti più o meno velati; si va dal «Non ho mai sopportato gli atteggiamenti da padre-padrone di Ritchie» di Gillian ad un più colorito Blackmore «Ian Gillian? Ha perso la voce nel 1973 e ancora non se ne è accorto.» [citazioni da JAM, num. 119 del 2005]

Il sound della band trova una sua definizione esaustiva proprio con “In Rock”, nel lontano 1970. Tra alti e bassi i Deep Purple arrivano al 1975 con “Stormbringer” ancora più che in forma, ma lasciando Blackmore sul ciglio della strada in pieno agosto, perdendo insomma il membro certamente più creativo e caratterizzante del gruppo. Dal 1975 in poi i Deep Purple sono ascoltabili solo come una forma estrema di masochismo.

Nel ’84 Blackmore decide che i Rainbow non sono più cosa adatta a lui (grave errore, poiché potenzialmente erano uno sviluppo creativo certamente migliore di una reunion di ottuagenari) e cerca di portare agli antichi fasti i Purple. Quello che uscì fu “Perfect Strangers“, tutt’altro che perfetto ma sicuramente qualcosa di a me straniero.

Quando nel ’93 si ritrovarono di nuovo assieme Gillian e Blackmore (ormai inaciditi anche dall’età) furono subito insulti in quantità e dischi davvero deprimenti nella loro incapacità di proporre qualcosa di nuovo ed interessante. Blackmore se ne va sbattendo la porta e rifugiandosi nei suoi Blackmore’s Night.

Inizia così l’epoca di egemonia di Steve Morse, il quale di certo non manca di tecnica, peccato che in quanto songwriting abbia voluto sperimentare tutti i suoi limiti con il grande pubblico.  Subito dopo arrivò anche Don Airey a sostituire il mai abbastanza compianto John Lord. Airey è riconosciuto (giustamente, direi!) come uno dei migliori interpreti della tastiera tra i pensionati e gli ARCI di tutto il mondo, anche se il suono del suo hammond nei lavori con i Purple non sempre sembra in armonia con il resto dell’ensemble.

Da questo immondo pandemonio resta da capire cosa siano i Deep Purple. Secondo Gillian sono «un’idea», ma sinceramente parlare di una band come di un concetto che trascende i suoi componenti mi pare alquanto imbecille come ragionamento. È come dire che i Soft Machine sono un concetto quindi anche Gary Glitter a seguito della band di paese può suonarli a loro nome alla Festa del Porcino.

Comunque l’idea Gillian non poteva mica tenersela per sé, così nel 2003 i Deep Purple compiono un atto davvero inconcepibile visto la palese mancanza di idee appurata in “Abadon (1998, disco essenzialmente di rivisitazione dei lavori passati, una roba agghiacciante), fanno un nuovo disco, tutto, tutto, tutto sbagliato: “Bananas“.

Bananas

Uscito per la famosissima EMI questo affronto al decoro acustico fu prodotto da Michael Bradford che guarda caso scriverà anche gran parte dei pezzi di questo album. Bassista, produttore famoso ed ingegnere prestatosi a tante personalità come Run D.M.C., Kula Shaker, Madonna New Radicals ma solo una volta a testa (gatta ci cova), Bradford viene ancora oggi menzionato per il suo lavoro con i Purple da “Bananas” a “Rapture Of The Deep” da schiere di fan incalliti. Inoltre “Bananas” vanta certamente il primato come copertina più brutta della storia del rock e forse di qualunque genere musicale conosciuto, ideata, credo, dal loro fruttivendolo di fiducia.
Ma cominciamo pure con l’ascolto.

Il disco si apre con House Of Pain, composizionedegna della miglior band del vostro liceo (suonata però da dei professionisti). Il pezzo non esprime alcunché se non una serie indefinita di cliché, ci sono dei discreti musicisti che a tratti ricordano qualcosa dei Deep Purple ma anche dei Bad Company e degli Aerosmith. Peccato che nell’atroce copertina del disco ci sia scritto Deep Purple e così, innocentemente, mi immaginavo un nuovo disco della band che ha fatto la storia del rock e non la loro cover band attempata. Inutile. Mi viene da pensare male sul titolo della canzone.

In Sun Goes Down l’unica nota decente è Airey che ogni tanto dà qualche sferzata di classe sui tasti. In generale si tenta di dare un tono epico ad una traccia che dimostra ancora volta che sanno suonare ma nient’altro. Paziento fino alla fine del pezzo, perché io ho speso dei soldi per un disco dei Deep Purple e voglio continuare ad ascoltare anche se le orecchie sanguinano.

Di Haunted sapevo che era una della ballad meglio riuscite dei Purple. Beh, sappiate che non è così, anzi. Gillian non canta, si lamenta (e pure male) mentre Morse fa addirittura il verso a Brian May. L’aulico testo di Tormentato ci ricorda che quando le liriche dei Deep Purple non significavano un tubo (vedi Black Night) ma almeno la musica era spettacolare, ora che sono addirittura al limite della decenza la musica sembra uscita fuori da un karaoke. Dire che è una delle ballad più riuscite è un affronto a Soldier Of Fortune mica da ridere.

Ammetto che in Razzle Dazzle per un attimo la tastiera usata da Airey mi è sembrata giocattolo. Gillian si ridicolizza oltremodo, il pezzo non è né buono né cattivo ed è la cosa peggiore per una canzone come per un album, la totale assenza di creatività crea situazioni davvero imbarazzanti. Ad un certo punto c’è pure il gatto di Airey che salta su una pianola (mi rifiuto di pensare che la stia suonando da sobrio).

Silver Tongue si presenta con un riffone bestiale, ed insieme a lui la speranza che “Bananas” riservi forse qualche soddisfazione. Come non detto. Il pezzo è scritto col culo, ad un certo punto parte una fuga condotta da Morse di carattere prog, poi diventa metal, infine arriva Airey vestito da John Lord e ricomincia d’accapo, tutto questo accompagnato da un Gillian pronto per il karaoke in riva al mare con gli amici. Confusione totale.

I primi ed eterei suoni che ci introducono Walk On ci richiamano alle atmosfere dei Caravan, spiazzandoci effettivamente un po’. Spunta così una struttura da blues rock non da buttare via (visto quanto sentito finora). Gillian si prodiga al Canta Tu col solito impegno e notiamo una cosa dalle nostre casse Indiana Line: gli effetti. Roba da sigla delle Winx, ma che cacchio c’entrano? Che si stava fumando Bradford durante le registrazioni? Il pezzo comunque risulta troppo lungo e il finale è un pasticcio noioso senza motivo di esistere. La frustrazione aumenta notevolmente.

Picture Of Innocence riprende a tratti le cose sentite in “Abadon”, un blues rock frizzante ma che non sa di un cazzo (perdonatemi le parolacce, ma siamo già a mezz’ora d’ascolto e questo aborto con i solchi mi sta facendo innervosire). Airey tira fuori qualche bella idea, il finale però risulta oltremodo tamarro.

I Got Your Number sembra un pezzo dei Foreigner. E non è un complimento. C’è un bell’assolo sempre del prodigo Airey, stroncato troppo presto da un riff abominevole di Morse, Gillian a tratti ricorda Kyle Gass. 

Con Never A Word mi sembra di esser stato catapultato di nuovo in un disco dei Caravan, ma smetto di fare paragoni perché li ho insultati una volta di troppo. Ma… la traccia è bella (o forse solo decente, ma ormai sono in pieno effetto allucinatorio)! La linea melodica è molto delicata, appena accennata, la voce sembra perfetta (sono in estasi), tutto sembra al posto giusto, l’emozione inizia a commuovermi e… e… finisce di punto in bianco?!? Ma come? Sviluppi una bella linea melodica, e poi sul più bello la tronchi così? Senza un senso? Dio, come odio questo album!

Bananas non può che cominciare nel peggiore dei modi. Un casino insensato di generi, di idee (?), Gillian/Canta Tu, l’hammond buttato lì senza motivo, assoli di armonica che non lasciano scampo. Follia. Comunque anche stavolta i membri della band dimostrano le loro grandi abilità tecniche (peccato per la musica di merda). Gli ultimi secondi del pezzo rimandano alle atmosfere di Morricone nei vecchi ’60, confondendoci ed irritandoci ancora di più.

Doing It Tonight è qualcosa di atroce. Una roba tipo latino-americana con chitarra, tastiera, basso e batteria, cantata dal fratello scemo di Paul Rodgers. Rockeggiante quanto basta per farci rimpiangere anche gli ultimi lavori di Santana. Più simile a Heavy Samba che a Santana comunque.

Il tutto si conclude con Contact Lost (col cervello, aggiungo io) dedicata agli astronauti morti nell’incidente dello Space Shuttle Columbia. Sull’attacco di questo pezzo strumentale mi sono messo le mani nei capelli. Che-razza-di-disco-dei-Deep-Purple-è-mai-questo? Come si fa a dire che è buono, che è decente, con che coraggio? Il pezzo non è terribile, poco più di un minuto strumentale per Morse essenzialmente, ma che senso ha? E perché gli effetti sonori che riempiono questo album sembrano quelli di Bim bum bam?

Se Gillian avesse avuto la decenza di chiamare la sua band in un altro modo questo era solo l’ennesimo disco ben suonato ma che non sa di un tubo della storia (Steve Vai ne sa qualcosa), ed invece si è trasformato in un affronto diretto alla storia del rock stesso, macchiando il buon nome dell’hard rock. Una band con tante banane ma poca musica che abbia qualcosa da dire.

Se il disco non ha avuto una vera e propria stroncatura dalla critica (e da alcuni fan) è per il solito problema della critica musicale italiana, e di come si parla spesso di musica. L’aspetto tecnico predomina ancora oggi a discapito di quello creativo, laddove per creatività si possono intendere tante cose, dall’approccio al genere fino a certe scelte particolari di arrangiamento, ma di certo non ‘sta sbobba. I Deep Purple negli anni ’70 hanno incattivito il rock, l’hanno reso più pesante, alcune loro intuizioni hanno plasmato il genere e fomentato epigoni in tutto il mondo. Quello che invece i Deep Purple fanno con “Bananas” è far cassa su un nome, il che inficia assolutamente nel giudizio finale su questo album.

  • Pro: è un ottimo porta vivande in stile vintage.
  • Contro: è un pessimo frisbee e un disco di merda.
  • Pezzo consigliato: ho speso venti euro per questa merda, e vi giuro su Dio che rimpiango The Wanderer! Ma quale pezzo consigliato…
  • Voto: 2/10

17 pensieri riguardo “Deep Purple – Bananas”

  1. Sono un ammiratore sfegatato dei Deep Purple ma non ti insulterò, per il semplice fatto che i MIEI D.P. sono quelli che hanno composto ed eseguito meraviglie dal ’70 (In rock) al ’74 (Stormbringer).
    Fine della storia.
    Di quell’altro strano gruppo di cui stavi parlando puoi continuare a dire peste e corna: hai la mia benedizione. 🙂

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      1. Come rovinare un capolavoro!
        Se non avessi ascoltato e gustato decine (forse centinaia) di volte l’originale “Into the fire”… chissà, forse avrei anche potuto trovare carina questa canzonetta italiana. Vai a sapere…
        Paice, un batterista non molto bello da vedere, ma stupendo da ascoltare, un po’ come tutto il gruppo, specie se raffrontato con i contemporanei Led Zeppelin.

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  2. Preferire?
    Mmmmm…
    Credo di non “funzionare” così.
    Ognuno stia seduto al seggiolino che gli è più congeniale, dove la sinergia con la musica del gruppo gli consentirà di dare il massimo e, se è un grande, io lo apprezzerò.
    Moon con gli Who, Paice con i Purple, Bruford coi Crimson…
    Ecco, mi sovviene alla memoria un’intro di qualità sublime, connubio perfetto di razionalità e fantasia.
    Mi permetto di piazzarla qui; se vorrai la ascolterai quando avrai una connessione più prestante (ma probabilmente la conosci già).
    “Indiscipline”, versione live da “Cirkus”.

    http://vimeo.com/24724394

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    1. Personalmente anche se apprezzo la tecnica di Paice, come ovviamente quella di Bruford, oltre che la perfetta armonia con gli altri elementi della band, gli preferisco comunque la potenza e la furia di Moon.

      La sezione ritmica degli Who, con Entwistle che fonde le sue quattro corde e Moon che dà fuoco al palco vale (per me) mille volte quella dei Purple o dei King Crimson. È pura energia, tribale nel senso più esoterico del termine.

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  3. Però, pur avendoci pensato un cicinìn (quasi un mese, aehm…), devo ammettere che fatico ad associare il concetto di “tribale” (nel senso più esoterico? Vale a dire?) con la musica degli Who e/o con il drumming di K. Moon.
    Quel termine mi richiama istantaneamente alla memoria, invece, la fase di un concerto di un tizio che non ritengo sia il caso di nominare, per un paio di buoni motivi.

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    1. Difficile associare il termine “tribale” alla tecnica di Moon… se si parla di tecnica! Naturalmente sono tribali le sezioni ritmiche de La Piramide di Sangue, come quelle di Mulatu negli anni ’70 o il “tribalismo” del drumming di Nick Knox nei Cramps.

      Nel caso di Moon definisco questo “tribalismo” esoterico perché è come un alchimista che mescola strani elementi per produrre qualcosa al limite del reale. Eh, mi rendo conto che detta così sembra uscita da un saggio di Heidegger in preda ad allucinazioni, magari aggiusto il tiro. La furia della sezione ritmica degli Who è catartica, ma non come nei veloci cambi dei Ramones o nella sguaiatezza dei Sonics o degli Stooges, perché quando parte Heaven and Hell nel mitico “Live at the Isle of Wight” quello che fa Moon è diventare un dannato animale che pesta le pelli con una velocità di esecuzione e una foga impossibile, l’effetto che mi dà è quello di un caos armonico, o di un antico ritmo tribale/infernale, come un’alchimia segreta che solo lui e Entwistle potevano esprimere su un palco.

      La “fuga” tribale di Bonham in Moby Dick non ha niente a che fare con questo, quella bellissima diserzione è rappresentativa (la battaglia tra Achab e la Balena, la quiete e la furia della battaglia letteraria/interiore/filosofica narratoci da Ismaele), mentre Moon non cerca né di rappresentare né di stupire con la sua tecnica, piuttosto regredisce e distrugge tutto.

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  4. […detta così sembra uscita da un saggio di Heidegger in preda ad allucinazioni…]

    😀
    Noto che basta poco per farti scatenare e inevitabilmente mi tiri fuori nomi che mi costringono ad affannose ricerche per diminuire – in realtà, ahimé, di un nonnulla – la mia abissale ignoranza.
    E nel settore che mi sta più a cuore, quello della musica pop-rock.

    Facciamo che “furia distruttiva” con effetto catartico mi convince di più.

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  5. È già una bella fortuna averlo, un pensiero (inteso come spirito critico con ambizione di oggettività); fìdati.
    Fossi in te, stapperei una bottiglia anche per quel solo motivo. (Atroce invidia!).
    Io ci ho rinunciato e ti assicuro che non è piacevole.

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    1. Io la prendo con filosofia. Finché ci sono un sacco di album che mi piacciono da impazzire sono a posto. Appena inizieranno a scarseggiare le cose saranno tre:

      • sto invecchiando, il mio gusto non è più elastico come prima quindi le novità mi puzzano di marcio a prescindere;
      • la musica del futuro farà proprio cagare;
      • sono diventato un burino bastian contrario a qualsiasi cosa, uno stronzo megagalattico e non ci capisco più un’emerita sega.

      Per ora me la godo.

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  6. Si rientra nel (mio, irrisolvibile) eterno dilemma “soggettivo-oggettivo”. Mi spiego.
    Credo (o cerco di illudermi?) che valga il punto 2-ogg.- (sostituendo, nel mio caso, “futuro farà” con “presente fa”).
    Temo invece di essere a tutti gli effetti vittima del punto 1-sogg.-

    Ti auguro di rimanere… forever young (inside).

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