Su questo disco dei Gogol Bordello si è detto di tutto, in primis perché ebbe un enorme successo, poi perché inusuale, e infine perché non si sapeva assolutamente cosa dire.
Si sa, quando un critico – di qualunque cosa – è un vero professionista, tende a dire solo le cose essenziali, quelle che servono al lettore per definire correttamente il giudizio che quel dato critico si è fatto dell’oggetto criticato. Questo genere di critica non esiste, quasi mai. Tanto meno qua in questo blog, dove il linguaggio raramente è tecnico o conforme alle recensioni musicali, e tutto viene filtrato dal gusto soggettivo del blogger. Il problema è che io lo scrivo questo, mentre la gran parte dei “critici” sul web si ergono a maestri onniscienti e super-oggettivi della musica tutta. Che pena.
Comunque, dato che pochi sapevano spiegarsi razionalmente il fenomeno dei Gogol Bordello e il loro successo nel 2005, si spesero tante (troppe) parole. E pensare che avevano già due dischi e una collaborazione alle spalle con Tamir Muskat, il musicista che ha fatto fare molto probabilmente il salto di qualità alla band di Eugene Hütz.
Comunque più o meno nel 1993 (tanto tempo fa) nasceva una delle tantissime band di folk-punk della scena est europea. L’influenza musicale più prominente è certamente quella rumena/ucraina, ma senza disdegnare quello che i russi avevano ormai irrimediabilmente insegnato in quegli anni. La mente creativa della band è Eugene Hütz, secondo Wikipedia addirittura figlio d’arte (suo padre era chitarrista nei Meridian, chi siano sinceramente non ne ho idea), immigrato non per scelta di vita ma per necessità ha visitato molti paesi assimilando qua e là molte delle sfumature poi caratterizzanti il sound della band.
L’Ucraina lascerà certamente un forte influenza nei testi del musicista, legato alle sue tradizioni e ai temi che sconvolsero l’est nei ’90 e poi nei 2000 con la rivoluzione arancione, ma musicalmente sinceramente c’è una riflessione certamente più americana. Il punk dei Gogol Bordello è ben lontano dai miti del punk come gli Stooges di Iggy Pop, è invece molto più vicino ideologicamente ai Fugazi. Di gypsy puro ne resterà sempre di meno più il tempo passerà.
I primi dischi sono grandiosi per forza, per energia, per colore, ma peccano in produzione e filologicità. Certamente un punto fermo per i Gogol Bordello è il “casino controllato”, ma l’amalgama dei suoi provenienti da “Voi-La Intruder” (1999) e da “Multi Kontra Culti Vs Irony” (2002) non è esattamente il massimo, c’è molta confusione mista a grandissime idee. Anche pezzi di un certo livello come Occurrence On The Border (Hopping On A Pogo-Gypsy Stick) risultano alla lunga stucchevoli e ripieni di suoni che c’entrano poco, per molti sono una tinta di world music, per me sono solo riempitivi di cattivo gusto.
Bisogna dire che all’epoca l’etichetta che li produceva era la Rubric records, una casa di produzione americana che produce roba allucinante, band che rientrano in categorie molto larghe (alternative/neo-psychedelia/indie rock!) che vogliono dire tutto, ma che urlano “non so neanche io che cazzo sto suonando”. Il che sinceramente un po’ rispecchia i primi lavori dei Gogol Bordello.
La SideOneDummy Records, si rese conto nel 2005 che con i Gogol Bordello poteva farci un affare mica da poco. Per quanto sia apprezzata in patria la SideOneDummy (e per quanto la produzione di questo album sia sotto il nome di niente poco di meno che Steve Albini) di certo non si può dire che sforni talenti a sfare, ma sicuramente mise ordine al sound dei Gogol Bordello, il che però pose definitivamente fine alle sperimentazioni partite con la collaborazione nel 2004 con il sopra citato Tamir Muskat. Il disco in questione è “Gogol Bordello Vs Tamir Muskat“, il capolavoro compositivo della band, che riuscì a interpretare i suoni folkeggianti dell’est in una dimensione elettronica tutto tranne che scontata, data la profonda tamaraggine che spesso pervade l’elettronica dall’est.
Come detto alla SideOneDummy dell’aspetto culturale gliene fregava una cippa (se non in termini di “esoticità”), mentre la questione sociale che proponevano Hütz e compagni era molto più sentita che nelle altre pietose band che si ritrovavano tra le mani. Forzando le caratteristiche ska e punk della band, e facendo sì che la dimensione territoriale della band diventasse quasi una simpatica macchietta, crearono un fenomeno di risonanza mondiale.
Si salva decisamente la dimensione ideologica del gruppo, che proprio nel disco che li vedrà assicurarsi un roseo futuro, esploderà in tutta la sua nichilista e festaiola potenza: “Gypsy Punks: Underdog World Strike“ (2005).
Il disco si apre con Sally, un pezzo che a parte essere piuttosto auto celebrativo non si capisce cosa dovrebbe trasmettere. Le tematiche sono lontane dall’est e toccano il punk più prevedibile dei depressi fine ’90 americani. Hütz scimmiotta un accento da immigrato, risulta difficile però capire quanto questo sia naturale o forzato.
I Would Never Wanna Be Young Again è la seconda delusione, un punk-rock con fughe di violini e urla a tutto spiano, un pezzo efficace dal vivo e alle feste mentre si ci regge a malapena le mutande, ma in sé non ha molto da dire.
Già con Not A Crime c’è un netto miglioramento, il ritmo esotico misto a un punk più puro e meno standardizzato riportano i Gogol Bordello nella loro dimensione originaria con una nota psichedelica (l’assolo di fisarmonica che conclude con una serie di suoni elettronici).
Immigrant Punk è un tributo al punk londinese, un format perfetto per la radio, il tema è finalmente legato alla loro dimensione est europea, e il punk ne risulta l’unico mezzo di denuncia sociale possibile: There is a little punk mafia/ Everywhere you go/ She is good to me an I am good to her.
60 Revolutions è un’esplosione gioiosa, una canzone che esprime perfettamente la forza live della band, un pezzo ottimo perché incastra caratteristiche più commerciali ad un gypsy punk di ottima fattura.
Avenue B ha una melodia decisamente mediterranea, un pezzo genuino di grand’impatto, anche a livello compositivo una delle vette del disco.
Dogs Were Barking è un pezzo decisamente auto celebrativo, costruito scientificamente, tutti i cliché prevedibili tutti assieme.
Per me Oh No è una sorpresa, il suo ardore tutto spagnoleggiante, un flamenco-punk che propone qualcosa di diverso dal resto dell’album. Riascoltare “Gypsy Punks: Underdog World Strike” dopo almeno due anni mi ha fatto rivalutare questa traccia in particolare.
Start Wearing Purple è stato il loro primo singolo, ed è certamente uno dei momenti più divertenti del disco, una sorta di grande marcia (come mostrava il video) di pura felicità, sembra di esser stati appena catapultati in mezzo ad una festa!
Think Locally Fuck Globally ci riporta a quella dimensione di “se compro un disco di una band punk di stampo gitano mi aspetto abbiano queste idee politiche”, il che è anche giusto, ma musicalmente si poteva fare qualcosa per non farla sembrare la solita prevedibilissima ballata del cazzeggio.
Underdog World Strike si torna alla dimensione del prevedibile, anche se in chiave pseudo-epica.
Illumination nella sua disarmante semplicità credo dimostri le grandi doti di istrione di Hütz e anche una chiave di lettura mai degnamente sviluppata nella carriera dei Gogol Bordello fino ad oggi. Il testo inoltre è perfettamente riflesso nella voce e nella melodia del pezzo, una perla di saggezza.
Santa Marinella resta nella memoria solo per la sua lunga sequela di imprecazioni e bestemmie in italiano. Il che, a mio modesto parere, è un po’ poco per una canzone.
Il disco si avvia alla fine, il penultimo pezzo è Undestructable, il testo mi piace molto, la musica… posso dire che mi sembra ridicola nella sua semplicità? Insomma, la mia è solo un opinione, però credo di aver sentito roba molto più impegnata al ristorante argentino in centro.
Mishto! conclude l’album, ed è una vera goduria per chi ama questo genere musicale. Io la apprezzo, al massimo, però mi rendo conto che sintetizza bene i concetti musicali fin qui espressi, inoltre è un’ottima prova per i musicisti della band.
Anni fa questo disco mi piacque da morire, era tra i miei preferiti, oggi non più. Sarà per la mia maggior consapevolezza dello strato culturale-musicale dell’est acquisita in questi anni, sarà perché si sente troppo l’americanizzazione e la commercializzazione in confronto ai lavori precedenti, non lo so, però adesso mi sembra un lavoro appena sufficiente, con alcuni pezzi davvero mirabili, ma nel complesso poco da dire.
Restano una delle migliori esperienze live di tutto il panorama musicale mondiale.
- Pro: uno dei pochi proseguimenti sulla scia dei grandi Fugazi almeno concettualmente, inoltre delle band pseudo-balcaniche certamente i Gogol Bordello sono il meglio, festaioli e rivoluzionari da poltrona quanto basta.
- Contro: troppi cliché, chiara mano americana che inficia un po’ su questa “nostalgia” ucraina.
- Pezzo Consigliato: 60 Revolutions credo riassuma bene il meglio che questa band può dare (o che ha dato).
- Voto: 5/10
Molto bello il blog… pero’ aspetto nuovi post, e’ da troppo tempo che non ci sono aggiornamenti. Vabbe’, intanto mi sono iscritto ai feed RSS, continuo a seguirvi!
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Grazie per i complimenti! L’ultimo post è di tre giorni fa, e di solito mi limito a tre-quattro post al mese perché… beh, perché sono pigro, effettivamente.
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