Fare le recensioni serie va bene fino ad un certo punto.
Sopratutto se parliamo di rock.
Se poi parliamo di hard-rock la prima cosa da fare e stapparsi una birra e guardarci dritto-dritto nelle palle degli occhi.
Amanti dell’hard, di quello vero, di quello incazzato, di quello che se ne frega se è più metal o più dark, l’importante è che sia hard. Di quelli che nel cellulare per riconoscere la ragazza hanno come suoneria Gypsy dei Uriah Heep, che come musica di sottofondo erotico-romantico gli piace spararsi Speed King dei Deep Purple, coloro i quali In-A-Gadda-Da-Vida ce l’hanno pure in musicassetta. Parlo a voi.
Ma che cazzo state là ad ascoltarvi quelle merdine dei The Answer? O quelle macchiette da Hard Rock Café dei Airbourne? Scommetto che qualcuno di voi si è ridotto ad elogiare anche qualche pezzo dei Muse. Come vi compatisco.
Ma invece che menarvelo con quelle mezze seghe, non provereste più gusto nel riscoprire e nel far assaggiare a chi non li conosce, il duro e puro membro dei Mountain?
Nel lontano 1969 Leslie West assieme al buon Felix Pappalardi tirano sù una band che più hard proprio non si può. E no, non erano ex-porno attori.
Ammetto che il discorso si sta volgendo pericolosamente verso il gay ingenuo, torniamo alla nostra birra, e intanto tiriamo fuori dagli altri vinili “Climbing!” dei Mountain.
Pappalardi è un bassista, noto turnista nel giro di chi conta, reduce da un’esperienza assai positiva con “Bleecker & MacDougal” (1965) di Fred Neil, ormai è un nome. Assieme alla moglie, artista completa, saranno protagonisti anche nei Cream.
West è un cazzo di nessuno (epocale cazzata) che bazzica in tredicimila sconosciute band (non sapete chi sono i Vagrants?), ma la sua chitarra brucia posseduta da un demonio ancora incatenato all’Inferno, che aspetta la sua ora, aspetta il 1970.
Se vi piace la roba masturbatoria alla Atomic Rooster forse non apprezzerete i Mountain, però sareste anche degli stronzi – è un’equazione matematica finissima.
Il sound della band è semplice, così semplice da essere considerato oramai all’unanimità come l’archetipo più credibile per l’hard rock. La “corposità” del suono di West alla chitarra sfiora lo stoner vero e proprio, i ritmi indiavolati non sono mai susseguiti da fughe barocche per checche prog, solo una lenta ma inesorabile successione di riff granitici.
Possiamo smetterla di sparare cagate ed ascoltare questa roba? (lo dico a me stesso, chiaramente)
Mettiamo sul piatto il buon vecchio “Climbing!” e drizzate le orecchie.
Cosa? Riconoscete il riff della prima song? Porca pupazza gente, quella è Mississippi Queen, uno dei pezzi più hard che la mente umana abbia mai concepito! Pura dannata energia, un attacco che ha fatto storia (notevole anche il lavoro di Laing, il batterista, non così scontato nel ’70).
Ci sono i riff e gli assoli. Sì amici miei, proprio come nei bei vecchi tempi.
E i riff non sono glammizzati alla Glitter o resi innocui dai Kaiser Chiefs di turno. Siamo alle origini, nessuna influenza commerciale o brit-pop del cavolo.
Si continua con la magniloquenza di Theme Form An Imaginary Western, un elogio alla grande epopea americana (anche se, va detto, c’è poco di Tiomkin e molto di loro, però vabbè).
Si torna al riffone spezza caviglie con Never In My Life, e intanto godiamoci i testi impegnati e pieni di spleen tipici dell’hard:
“Never in my life
Could I find a girl like you
Never in my life
Could I find a girl like you
When I wake up in the morning
You make me feel so good
Bringing me the cider whisky
Feel a bit lonely too […]”
Aaahhhh (*boccata d’aria fresca dopo una settimana di Tom Waits*)
Ma non c’è tempo e si rimonta subito in sella con Silver Paper, e l’hammond tradisce la presenza di Steve Knight, aficionados della band. Gran rock.
Giriamo l’LP senza fretta, gustandoci il momento con una birra torinese ghiacciata. Ci guardiamo soddisfatti di cotanti decibel liberi nell’aria. Via col lato B.
E quando pensi che forse ti basta anche così giù di nuovo con For Yasgur’s Farm, per alcuni la punta di diamante dell’album. Rimani basito.
Finalmente una pausa dall’epicità straboccante, Leslie da solo con una bella chitarra acustica ci trasporta assieme a lui in un bellissimo viaggio. To My Friend.
E già ti rendi conto di come questo album sia già di per sé un classico, anche se meno conosciuto di altri. Inspiegabilmente, nell’era di internet.
Bella prova anche The Laird, troppo anni ’70 per essere vero, scritta dai coniugi Pappalardi, coppia purtroppo celebre più nella tragedia che in questi dolcissimi componimenti (in cui si troverà benissimo il soft rock dei Pink Floyd del lato A di “Meddle”).
Il ritmo indemoniato di Corky Laing ci introduce nella bellissima Sittin’ On A Rainbow, l’ennesimo riff da paura della premiata ditta Mountain.
Si conclude il tour con un’altra prova dei Pappalardi, malinconica ma potente Boys In The Band, non riuscitissima a dir la verità, ma non è facile tenere botta con i pezzi precedenti.
Non so davvero che dire, album così hanno fatto la storia del loro genere, basta. Comprate questa roba, dannazione!
E poi “Climbing!” non neanche è il loro miglior disco. Immaginatevi gli altri!
- Pro: praticamente storia del rock.
- Contro: se non ti piace l’hard rock tienilo lontano un miglio dal tuo piatto.
- Pezzo consigliato: sebbene storica Mississippi Queen ormai la sappiamo tutti abbondantemente a memoria, dunque mi butterei più su Silver Paper, la quale racchiude anche l’atmosfera epica di cui è intriso l’album.
- Voto: 7,5/10