Jack White – la discografia (parte seconda)

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2003-2004: IL PROFETA DALLA FREDDA MONTAGNA

Dopo l’esperienza del terzo album e l’esibizione folgorante al David Letterman Show, arrivano contratti decisamente più vantaggiosi e con la tanta voglia di stupire Jack White mette mano a due progetti ambiziosi, la già citata Third Man Records e sempre nel 2001 pubblica “Sympathetic Sounds of Detroit” una collection in cui White dona maggiore visibilità al garage rock di Detroit tirando fuori nomi come The Hentchmen (avete mai ascoltato di loro Beat That da “Three Times Infinity”?), The Detroit Cobras (autori dell’ottimo “Baby” del 2005), The Von Bondies, i Come Ons e altri. 

Ma è il 2003 l’anno in cui Jack White diventa, almeno per i mass media, il nuovo profeta del rock.

Il suo apporto alla colonna sonora del film di successo “Ritorno a Cold Mountain” (dove recita, altra sua passione finora espressa solo a sprazzi) lo lancia come star a tutto tondo, è amato dai presentatori e dal pubblico statunitense, il gossip attorno a lui arriva a livelli da VIP di Hollywood. Tanto per capire come delle volte le note biografiche servano solo a riempire le pagine di recensioni altrimenti vuote e banali tutti questi fatti non hanno alcuna influenza in “Elephant”, quarto e acclamatissimo album della premiata ditta Jack&Meg. 

Anche qui c’è poco da dire, ormai Jack conosce il mestiere, anche se qualche scivolone stavolta si fa sentire. Soporifera You’ve Got Her in Your Pocket, opulenta e ripiena di effetti del tutto inutili There’s No Home For You Here (peccato perché il pezzo è una bomba), un po’ troppo ammiccante The Hardest Button to Button, sebbene il testo mi spezzi e il riff mi piaccia è davvero una traccia un po’ troppo scritta a tavolino. Detto questo per il resto l’album contiene i soliti pezzi da paura, riff micidiali e qualche idea davvero notevole.

La parte che preferisco è certamente il trittico punk: Hypnotize, The Air Near My Finger e Girl, You Have No Faith In Medicine. Tre pezzi che valgono da soli l’acquisto. Poi ci sono i riff di Seven Nation Army, Black Math, il blues esaltante di Ball and Biscuit, fino ad alcune perle fuori dagli schemi come la minimale In The Cold, Cold, Night cantata da Meg, la folle e potente Little Acorns, la cover ancora una volta definitiva di un classico di Burt Bacharach (!) I Just Don’t Know What to Do with Myself, supportata da uno dei pochi video musicali che ho davvero apprezzato fino in fondo. Per la seconda volta si conclude l’album con un pezzo acustico (It’s True That We Love One Another, ambiguo e bellissimo) cantato da Jack, Meg e Holly Golightly, che non chi sia e mi sta alquanto fatica cercare.

Tra le altre cose al duo di Detroit capita pure di partecipare al cult movieCoffee and Cigarettes” di Jim Jarmusch, il corto a loro dedicato è inferiore solo a quello della coppia Iggy PopTom Waits.

Nel 2004 esce finalmente un DVD che porta nelle case degli hipster e dei garagisti le prodezze live di questa band, “Under Blackpool Lights”, e con il DVD arrivano nuove cover spezza-fiato. Pesca ancora dalla foce del Delta Jack White con Leadbelly (Take a Wiff on Me, De Ballit of de Boll Weevil quest’ultima a chiudere il concerto), c’è una Outlaw Blues di dylaniana memoria, un giusto tributo al grandissimo Screaming Lord Sutch (anche se qui la cover definitiva di Jack the Ripper è dei Fuzztones) e l’altrimenti introvabile cover di Jolene di Dolly Parton.

Jack dal vivo tramuta e distorce le sue stesse creazioni, rallentandole o velocizzandole, suonandole con la pianola piuttosto che con la chitarra o viceversa, ma sopratutto fa un casino memorabile.

Sempre nel 2004 escono i già citati “The Legendary Lost Tapes”, con chicche del calibro di una Ain’t Superstitious suonata nei The Upholsterers, inediti degli Stripes live come Little Red Book, One & Two, House Of The Rising Sun e una tragica versione funk di Seven Nation Army. Da avere solo per i completisti, altrimenti è una roba assai inutile. 

Nel 2005 invece succede di tutto, dalla nascita dei The Raconteurs alla sperimentazione d’avanguardia. E non son mica tutte rose e fiori.

2005-2006: “LUNGI DA ME, SATANA” (MATTEO 16,23)

Get Behind Me Satan” è solo la punta dell’iceberg, e per uno che comincia sempre i ringraziamenti negli album con “thank you to: God, family, etc.” non c’è da stupirsi se al quinto album ti cita in copertina il Vangelo, è pur sempre un dannato bluesman. Ma come un vero profeta Jack White non si dà pace e pubblica ben due album in un anno.

Il 16 Maggio esce “Broken Boy Soldiers” album di debutto per i The Raconteurs, la sua nuova creatura che unisce il tiepido Brendan Benson (chitarra, seconda voce) ai garagisti di vecchia data Jack Lawrence (il bassista più hipster della storia del rock) e Patrick Keeler (batteria). 

Un passo avanti e due indietro questo debutto, non tanto per la qualità musicale che resta piuttosto alta, risulta piuttosto difficile trovare dei difetti in “Broken Boy Soldiers”, i pezzi sono tutti ben costruiti e suonati, persino il video di Steady, As She Go è girato da Jim Jarmusch! Ma senza la vena mefistofelica che contraddistingue il blues di White (in parte rilegato a Blue Veins) o la furia garage, quel che resta è davvero poco.

Intendiamoci bene: Jack White non ha scritto capolavori della musica rock, non ha distrutto stilemi né inventato nulla, la sua caratura si misura in termini di sound, stile, melodia, genio creativo, ma mai di concetto. Una volta che al garage rock sporco e furioso di “The White Stripes” e “De Stijl” si sostituisce l’indie rock di “Broken Boy Soldier” ne guadagnano l’immediatezza e la fruibilità, ma si perde la forza e la potenza di pezzi allucinanti come The Big Three Killed My Baby, Astro, When I Hear My Name e via dicendo. 

Il garage trasognato di Hands, la psichedelia velatissima di Boy Broken Soldiers, l’indie spinto di Intimate Secretary sono tutte ottime idee ben realizzate, con un velo di malinconia latente estraniante (e che purtroppo scomparirà nel secondo album della band), sottolineato in Together

Level è chiaramente il momento più alto dell’album, un riff spaziale e una struttura che si presta di brutto alle variazioni live del nostro. Store Bought Bones è un misto fritto di prog e glam rock, piacevole tutto sommato. Yellow Sun e Call It A Day proseguono la linea indie rock malinconica che caratterizza l’album. Chiude un blues quieto, lontanissimo da quello di una Suzy Lee o di Little Bird, è Blue Veins che solitamente chiude i loro concerti. 

Il 29 Marzo esce “Guero” la nona fatica di Beck (tra le meno apprezzate dalla critica) in cui White compare suonando il basso (!) in Go It Alone

A Giugno esce “Get Behind Me Satan”, quinta fatica dei White Stripes. Se con i Raconteurs Jack dà sfogo ad un indie più spensierato e manierista con il suo quinto album assieme alla ex moglie sputa fuori il suo inferno interiore.

Nettamente inferiore a qualsiasi album precedente, Get Me si sviluppa almeno in modo originale, lasciando al garage rock un ruolo di comprimario e lasciando scorrere il country, il blues e il twist

L’opening, celebre, con quella Blue Orchid esageratamente MTV-style, è una falsa partenza, l’album comincia con le note di marimba di The Nurse, le rapide incursioni di pianoforte e chitarra garage che la destrutturano la rendono il pezzo forte di questo album. 

Il genio melodico viene fuori con la scanzonata My Dorbell, il country con Little Ghost, il twist si presenta con la frizzante The Denial Twist, un po’ deboli le note sdolcinati di Forever For Her (Is Over For Me) e la poco ispirata White Moon

Il blues mefistofelico (che poi è quello che ci piace di questo residuo di Delta Blues vivente) fa la sua gloriosa comparsa con una micidiale Instinct Blues, e di colpo si ritorna ai White Stripes di “Elephant”. La sensazione permane decisamente nel divertissement con Meg protagonista: Passive Manipulation, per poi rilassarsi con Take, Take, Take ennesima prova delle innate qualità melodiche di White. Inutile invece l’acustica As Ugly As I Seem

È ancora una volta il blues a far soffrire le casse, Red Rain con i suoi riff diabolici e l’incedere esoterico della batteria è il terzo picco di questo album dopo The Nurse e Instinct Blues. Chiude una I’m Lonely (But I Ain’t That Lonely That) inadeguata per la voce acuta e spezzata di Jack White, forse per taluni è proprio questo che la rende unica, a me sembra solo un bel pezzo cantato con difficoltà.

Da segnalare la cover di Walking with a Ghost contenuta nell’omonimo EP, solo l’ultima di una serie di cover perfette.

Nell’Ottobre del 2006 esce anche l’indecifrabile “Aluminium”, progetto di musica d’avanguardia che vede Richard Russell (tizio della XL) e Joby Talbot (compositore) accompagnati da un’orchestra rivisitare alcuni dei successi dei White Stripes. Personalmente l’ho trovato assai indecente, ma Jack White stesso ha appoggiato il progetto che è poi sfociato in uno spettacolo a Londra. L’album è quasi introvabile (a causa della sua tiratura limitata), ma su eBay se ne trovano ancora delle copie. Se potete evitatelo.

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