Ci sono troppi “capolavori”!

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Ho una lista di dieci album che voglio recensire, più tre discografie che ho già incominciato e altre robe. Però no, meglio un post sul perché non voglio più scrivere la parola “capolavoro” per un album contemporaneo, questo sì che interessa, questo sì che vi ossigena il cervello.
A questo punto credo proprio che il mio livello di incapacità di tenere un blog da “1” a “10” sia un bel “Andrea Scanzi”.

Troppe volte nelle scorse recensioni ho parlato di “capolavoro”. Sì. ok, l’unica volta che lo ricordo distintamente è quella su “Order of Operation” degli Ausmuteants, però sono SICURO che ci siano altri casi simili in altri post. Che comunque non rileggerò. Questa recente epidemia di insano entusiasmo verso alcuni album è dovuta a due fattori:

  1. trovo ridicoli e imbarazzanti gran parte degli album usciti quest’anno tacciati di tale insigne, tra cui “Commune” dei Goat (che mi piacevano e mi divertivano finché non me l’hanno menata a dismisura su quanto siano fighi) e l’ultimo dei The War on Drugs (profondo come una pozzanghera, paraculo e rifinito in sala missaggio per piacere a nonne, mamme, zie e papà);
  2. sono stranamente di buonumore, e questo mi porta a scrivere più cazzate del solito.

Tutto questo lo scrivo sul blog perché, come qualcuno ormai avrà capito, questo spazio nel web sta crescendo assieme a me, e non avendo altri mentori* se non i critici musicali che impestano le riviste che leggo e i miei commentatori, cresce a rilento. Una delle cose che ho capito in questi ultimi due anni è che un capolavoro lo si può definire in maniera corretta solo dopo la sua storicizzazione.

Di fronte ad opere particolari come il primo album dei Velvet Underground o “Trout Mask Replica” nel momento in cui erano uscite non era facile approcciarsi, c’è chi le disdegnava (i VU erano proprio ignorati, come si fa con i barboni o coi leghisti) o chi le esaltava, ma personalmente non credo affatto che il primi siano tutti imbecilli mentre i secondi tutti profeti, credo solo che entrambe le categorie fossero dei critici un po’ troppo supponenti.

L’importanza di un album si intravede nella generazione successiva, per la sua influenza positiva. Ovvio, se per Beefheart si può benissimo parlare di un album fondamentale, anche solo per gli effetti nella new wave e il post punk (ma la sua influenza si estende dai Pere Ubu fino ad oggi), ho sei seri dubbi invece sulla discografia dei Deep Purple, che sì, hanno influenzato tantissimo, ma hanno influenzato tantissima merda sopratutto.

Ci sono generi poi che secondo me si auto-escludono direttamente dalla categoria masterpiece, come il suddetto hard rock, che nella sua chiusura concettuale (riff, assolo, voce che fa «aaaAAAaaaaAAAH!», riff, assolo, coda finale di dieci minuti in live) non ha più nulla da offrire, per cui o lo superi trasformandolo in altro oppure fai revival.

Ci sono anche casi di album dimenticati di grande valore, che delle volte hanno persino anticipato delle correnti (Pärson Sound?), devo dire che ancora non so bene come approcciarmi di fronte a tali eccezioni, diciamo che per ora li ritengo solo “grandissimi album” e porto a casa (sono troppo professionale).

Avevamo anche incominciato un discorso sul concetto di capolavoro nel rock, ma il mondo reale non mi aiuta a sviluppare questo spazio virtuale. Vediamo se quest’anno le cose vanno meglio, ma immagino che tutto dipenda solo da me e non da altri fattori.

In questo 2015 ci sarà qualche re-review in più, ovvero tornerò su alcuni album che ho recensito nell’anno appena passato perché in certi casi vanno ridimensionati (“Order of Operation” per l’appunto) in altri approfonditi (l’esordio dei Nun, i Molochs, i Corners, etc…).

Grazie a tutti quelli che ogni tanto passano e lasciano il proprio pensiero, spero sempre che questo sia prima di tutto uno spazio divertente e stimolante, poi magari un giorno sarà persino competente!

*tra gli altri mentori che vorrei citare ci sono: L’Uomo Ragno, Martin Heidegger, Tristram Shandy e Sid Meier.

Ora vado a videogiocare, (adoro far esplodere cose con questo pezzo):

27 pensieri riguardo “Ci sono troppi “capolavori”!”

  1. [ ho seri dubbi invece sulla discografia dei Deep Purple, che sì, hanno influenzato tantissimo, ma hanno influenzato tantissima merda soprattutto.]

    Non mi trovi molto d’accordo su questo criterio di valutazione.
    Un’opera è (o non è) un capolavoro in sè e per sè, a prescindere da cosa è successo DOPO, dal fatto che abbia influenzato positivamente altri artisti o, al contrario, altri pseudo-artisti ne abbiano tratto spunto per produrre schifezze.
    Non è colpa dei Deep Purple se altri, in seguito, han pensato di essere in grado di imitarli (malamente), producendo inutili opere di maniera.
    Così come non è colpa dei grandi gruppi Prog se altri gruppi si sono illusi di raggiungerne le vette creative cercando di imitarli, a loro volta producendo solo vuote realizzazioni manieriste (Neo-prog).
    E così via…
    Si potrà discutere se un’opera sia o non sia un capolavoro ma basandosi solo sulla qualità e la creatività dell’opera stessa, tenendo conto del contesto a essa contemporaneo.
    Così la penso.

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    1. Lo pensavo anch’io, ed ero parecchio impuntato. Questo anche perché ero molto legato a Lester Bangs e alla critica nostrana degli anni ’70, una roba di pancia, dove l’ottima musica veniva sempre esaltata (se poi c’era pure un concetto dietro alleluia!), però c’è un problema, almeno per me.

      Secondo il mio modestissimo (issimo issimo issimo) parere il rock non è un’arte minore, non credo abbia niente da invidiare alla musica sinfonica, a quella contemporanea-sperimentale o jazz, credo sia un genere che merita l’appellativo d’Arte. Però, una volta che decidi di relegarlo nell’ambito dell’arte spuntano fuori nuovi fattori, extra-musicali, che vanno presi in considerazione.

      Non puoi evitare di parlare del sistema di tassazione fiorentino negli anni ’20 del ‘400 se vuoi fare una critica competente del Tributo di Masaccio, sennò sei un mentecatto, o una pagina di wikipedia. La vera opera d’arte non si limita all’esecuzione e alla semplice mostra di sé, ha molto altro da dire. Come è inutile soffermarsi su Mozart se poi l’unica cosa che fai è studiare gli spartiti, la sua importanza è tutta nei contenuti (la feroce critica sociale ne Le Nozze Di Figaro, gli stili di canto diversi per classi sociale nel Don Giovanni, o quella lunghissima pausa pubblicitaria alla massoneria che è Il Flauto Magico).

      Proviamo a fare la stessa cosa per il rock, che sebbene il buon vecchio Bangs dicesse essere “l’arte più democratica di tutte” sapeva già lui di dire una cazzata esponenziale, perché il suo mito (Captain Beefheart) viveva nel dannato deserto del Mojave, dimenticato da Dio e dal mondo (che democraticamente gli aveva preferito Kiss, Bay City Rollers e la disco music).

      E così, anche se “In Rock” è un album sotto MOLTI punti di vista magistrale, ha delle caratteristiche che lo rendono, per così dire, un’opera “minore”. I testi, che sì, vogliono essere anche auto-ironici (lettura moderna che non condivido, anche perché trovo una certa difficoltà a definire Child In Time “ironica”) ma sono demenziali senza motivo di esserlo, o senza senso o addirittura pretenziosi (come in Child In Time). Perché non dovremmo parlare del rapporto tra le liriche e la parte strumentale, non è fra l’altro un metro di giudizio universale quando si parla di musica?

      E che dire dei pezzi in sé, non sono forse esercizi di maniera, o c’é qualcos’altro dietro? Perché spesso per denigrare certo prog si parla di masturbazione dell’esecutore (e sono d’accordissimo) e allora perché non per band come i Deep Purple? Se davvero non è masturbazione allora qualcuno mi spieghi qual’è l’intento descrittivo o concettuale dietro l’assolo di Burn.

      Con questo però non voglio denigrare tutto il rock senza un’idea precisa dietro, sarebbe uno sfacelo, ma solo ridimensionare chi in effetti è stato sul piedistallo pur avendo gli stessi meriti e demeriti di tanti altri, solo che la “democrazia” li ha eletti a salvatori della patria (e la critica rock, vigliacca e parodia di se stessa, non ha ancora raggiunto quel prestigio tale da sovvertire questo sistema, rinchiusa nel suo autismo auto-imposto che la porta a leggere la musica prima di tutto dallo spartito).

      Però, tornando al punto principale della questione, tra le caratteristiche dell’opera d’arte c’è anche il lascito che questa ha donato ai posteri, non sempre immediato! Basti pensare ai soliti Impressionisti (è l’esempio più facile che mi viene in mente) ignorati dai più, ma seguiti solo da una élite intellettuale che sapeva che l’arte popolare era vuota e senza significato. In fondo oggi chi si ricorda di Bouguereau, Cabanel e Baudry? Eppure erano i più amati dalla critica e dal pubblico. L’arte che invece ha riscoperto gli Impressionisti continuò a sviluppare le idee di questo incredibile gruppo di artisti, ignorando bellamente i “grandi artisti” del recente passato.

      Chiedersi cosa sarebbe oggi il jazz senza Mingus è difficile, tale la sua importanza, chiedersi cosa oggi sarebbe il rock senza i Deep Purple è un’esercizio intellettuale neanche troppo difficile, di hard rock band c’è n’erano a bizzeffe, l’hammond come lo suonava Lord non era atipico (basta ascoltarsi un certo Brian Auger!), la voce di Gillian non era unica (anche qui un tale Arthur Brown), aveva sì un piglio personale Blackmore, ma non è stato mica Jimi Hendrix, non ha rivoluzionato il modo di approcciarsi allo strumento.

      Per cui: sì, tenere conto della qualità dell’opera nel contesto contemporaneo, però anche, come si fa per tutte le forme d’arte, considerare il lascito e come è “invecchiata”. Tutto questo sempre tenendo conto che la critica è una cosa e il piacere all’ascolto un’altra.

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      1. Ma non puoi dire, parlando di Mozart, che l’importanza è tutta nei contenuti. I libretti d’opera sono minchiatelle, più che altro è come è riuscito brillantemente a far coesistere stili diversi in funzione dell’effetto da dare alla narrazione. Se quegli stessi libretti fossero stati scritti per opere mediocri, sarebbero consegnati all’oblio perché non sono niente di che.

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        1. Non ho detto “libretti” ma contenuti e ho fatto tre esempi. Ovvio che il suo far coesistere più registri dentro l’Opera Buffa sia tanta roba, ma non lo faceva mica per sfizio, ma per rappresentare le classi sociali in modo efficace. Non è “prima penso alla musica e poi ci schiaffo il concetto” ma il processo inverso. La stessa differenza che c’è tra Ramones è AC/DC, i secondi vogliono fare musica “dura” e poi infilarci due liriche sulla figa e sulla vita di strada, mentre i secondi credendo di parlare di figa e vita di strada davano voce ad un mondo di disagio e degrado che non si era mai sentito prima, in quei termini.

          (Vogliamo parlare dei librettisti di Puccini? Ogni tanto mi rileggo la Tosca senza musica!)

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          1. No, la lirica non mi va giù! 🙂 Ho capito comunque il tuo ragionamento, ora. Ne facevi un discorso di finalità espressive ma invece pensavo ai contenuti in senso letterale. Per tuo dolore, metto Ramones ed AcDc sullo stesso elevato piedistallo, ahr ahr.

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  2. Io credo che la fissazione con l’originalità e l’influenza siano, appunto, solo fissazioni – perché l’altra faccia del capolavoro è quella del disco che utilizza in maniera eccellente, ottimale, interessante etc quello che è già disponibile. Se si prende un qualsiasi c.d. capolavoro e lo si riduce in atomi, in un elenco delle sue componenti, troverai di sicuro qualcuno che ha utilizzato prima questo o quell’espediente, quell’idea, ma non ha la minima importanza – è la sintesi che fa la differenza (e qui si potrebbe rispondere già all’esempio che fai sopra dei Deep Purple). Come anche il discorso dell’assolo di Burn: è ganzo, suona bene, arriva dal nulla in mezzo ad un climax e si scioglie nel chaos, funziona alla grande quindi è un’ottima cosa. Peraltro, il rock peso negli anni ha preso un marasma di direzioni diverse, fai una brutale semplificazione dovuta al fatto che semplicemente ti fa schifo al cazzo – un po’ come faccio io nei confronti dello shoegaze o di qualsiasi cosa mi sappia di new wave britannica, per me una delle cose più disgustose e ripugnanti della storia del rock. 🙂

    In sostanza, prendere l’innovazione concettuale e chi la fa per primo come conditio sine qua non del “capolavoro” o della qualità è un criterio, a mio avviso, del tutto fuorviante e limitato. Riduce tutto ad una misurazione, ad un estimo, con date e rilevamenti. Non a caso il sommo esponente di questa linea di condotta è un cretino integrale come Piero Scaruffi.

    Oh, spero di esser stato chiaro, a rileggere non ne sono così sicuro…

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    1. Tutto ok, però non ho mai detto che l’innovazione sia l’unico punto su cui debba vertere la valutazione di un critico, sarebbe una scemenza colossale. Ho detto che, se dobbiamo trattare il rock come arte allora dobbiamo analizzare anche questo, assieme a tutto il resto.

      Come ho detto per i Deep Purple di “In Rock”, è certamente un album magistrale sotto molti punti di vista, ma non può e non deve essere sufficiente un’analisi del climax e dello spartito, perché se il rock dev’essere innanzi tutto testosterone allora la più grande band di tutti i tempi sono gli AC/DC. E io non ci sto.

      È vero che non ho simpatia per l’hard rock, ma ciò non toglie che se l’esordio omonimo dei Kadavar (band tedesca che fa hard rock per l’appunto) è tanta roba, nei termini del suo genere di apparenza, lo dico esplicitamente e non faccio il remissivo perché “mi fa schifo al cazzo”, anzi, quando davo ancora i voti e si son beccati un sontuoso 7.

      La semplificazione è voluta, altrimenti facciamo notte, è chiaro che sono state prese milioni di direzioni, è difficile fare raffronti tra Merzbow, War on Drugs, Franz Ferdinand e Tool, ma a tutti si può applicare un parametro critico più ampio, non legato solamente al sotto-genere di appartenenza e all’esecuzione perfetta (o anche imperfetta, che delle volte può essere positivo) dei brani. In questa nuova new wave i Franz Ferdinand sono una delle band di punta, che ha saputo meglio sintetizzare influssi da Bowie e via dicendo, ma solo per questo sono una buona rock band?

      Per me il capolavoro è la summa di tante cose:
      – è un caposaldo del suo genere di appartenenza
      – lo ha addirittura originato/ lo ha del tutto de-strutturato e trasformato
      – ha avuto un’importante e decisiva influenza su band successive (di gran livello, cioè: sei hai generato gli W.A.S.P. sei feccia, se hai generato i Sonic Youth sei tanta roba)
      – la musica ha un significato (che sia un concetto o un’idea descrittiva, o che sia al di fuori dell’album stesso – come nel caso dei Tuxedomoon, dove la commistione tra azione scenica e musica si perde negli album, ma è propria della dimensione live).
      – ha riutilizzato efficacemente i suoi esempi del passato
      e altre robe, ma non ho uno schemino predefinito per cui se hai soddisfatto il punto 1 hai almeno un 5, se ne soddisfi 3 hai un 7 o stronzate simili. È un ragionamento ampio, c’è di mezzo la contestualizzazione storica, valori politici, morali, etici, perché ovviamente dipende anche da album ad album (non valutare il peso politico delle liriche nell’hardcore è da idioti, per esempio).

      L’innovazione non è affatto la mia conditio sine qua non, è solo uno dei tanti aspetti che però vanno presi in considerazione. Il primo album dei Ramones è un capolavoro, ma non straccia mica la grammatica del rock, anzi, lo riduce ai minimi termini.

      Le misurazioni in punteggi o cose così non hanno senso, perché NON SI FANNO per valutare nessuna forma d’arte, per cui non vedo perché dovrei farlo anch’io nel caso del rock. Allo stesso tempo non si può nemmeno ridurre il tutto a feeling, mood ed eccitazione sessuale, perché sennò è inutile parlare d’arte e rifacciamoci a Bangs, più banale e terra terra sei meglio è.

      In effetti era meglio Parker come esempio, però m’è scappato Charles (questo sempre a riprova della mia indubbia professionalità).

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      1. Però vedi, non si può nemmeno ragionare troppo sulla qualità dell’influenza. Anche perché i WASP, per esempio, a me piacciono – sono stati un’ottima band di metal rissoso, ignorante, provocatorio e velenoso. con una sua dignità nei primi due album. Un aspetto che io considero importante è l’aspetto…. boh, come dire? Autodescrittivo? Diciamo la compiutezza, in questo senso: quando un musicista riesce a farti capire dove vuole arrivare con la sua musica, e poi ci arriva. E gli AC/DC, non saranno la più grande rock band di sempre, ci sta, boh. Sono però una delle più grandi interpretazioni del rock in senso classico, una band che lo ha riportato in auge da questo punto di vsta (volume, maleducazione, spirito teppistico etc) con testardaggine e ottime canzoni nel momento in cui il panorama era più per i fronzoli che per l’asciuttezza – faccio fatica a escluderli dal novero dei grand, quando parliamo dell’era di Bon Scott.

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        1. Ecco vedi, c’è una discrepanza, tra me e te, su alcuni aspetti probabilmente non conciliabili. Gli W.A.S.P. li ho conosciuti leggendo Klosterman, il mio critico preferito, il quale ha dei gusti totalmente opposti ai miei, ma è affascinante il modo in cui descrive certa musica, le emozioni ma anche le ribellione e la rabbia nascosta dai lustrini e dai video tamarri.

          Però, per come la vedo io, gli AC/DC e compagni di merenda sono una parodizzazione del rock, la sua volontà di essere spensierato e al di sopra di tutto. Quando questa cosa tira fuori dell’umanità, come nel caso dei Ramones, mi eccito (intellettualmente), perché nel tentativo di essere i Beatles esce fuori lo scarafaggio che c’è in te, il marcio. Negli AC/DC non trovo questo, sono dei bulli troppo cresciuti, boriosi, attaccabrighe, ripetitivi ma senza niente da dire o ribadire. I Ramones riprendono il rockabilly e lo fanno diventare la voce di una generazione, la voce dei punk, dei derelitti, degli scarti della società, e da questi punk loro sono nati i Rocket From The Tombs e i Pere Ubu, un’innalzamento musicale e concettuale enorme, quasi incalcolabile.

          Poi, lungi da me, ora come ora, parlare di obiettività o metodo critico nel mio discorso. Come dico nel post sto imparando, e anche affinando certe convinzioni (altre invece le ho ribaltate del tutto).

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  3. Aggiungo: Mingus è stato un grandissimo. Ma la sua influenza non è onnipervasiva del jazz successivo. Per un discorso simile al tuo avresti dovuto prendere Louis Armstrong o Charlie Parker, per dire.

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  4. [come è “invecchiata”]

    Che ti devo dire?
    Per me “Burn” e i Genesis sono invecchiati benissimo, sono opere che ritengo di valore e paragonabili a ciò che viene ritenuto ormai “classico” (C.Parker e W. A. Mozart compresi).
    Sarà un fatto di gusto personale o di valore assoluto? Io non lo saprei dire ma diffido di chiunque mi voglia imporre la propria opinione/lettura ammantandola di valenza critica oggettiva e indiscutibile.

    [Se davvero non è masturbazione allora qualcuno mi spieghi qual’è l’intento descrittivo o concettuale dietro l’assolo di Burn.]

    Spiegare a parole la musica? Non sto a ricordare il celebre aforisma di F.Zappa. Vogliamo per forza cercare chissà quale tipo di contenuti/concetti/messaggi (filosofici, o che?) in una struttura fatta di suoni che sanno donare piacere ed emozioni?*
    Poi, che vuol dire “masturbatorio”? Per me non ha senso. Vuol dire che Blackmore godeva nell’eseguire quell’assolo? Lo spero bene! Se non si divertiva almeno lui…
    Oppure vuol dire che ci si divertiva SOLO lui? Non mi pare confortato dai fatti.

    Riguardo la perplessità da me espressa nel precedente commento, non sto a farla lunga: rimango della mia idea.

    *Non è che proprio questa pretesa abbia invece il sapore di una masturbazione intellettuale? Solo un dubbio…

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    1. Non voglio imporre niente a nessuno, sto impostando un discorso con questo blog assolutamente personale, che non vuole in alcun modo fare “scuola”, non ne sono in grado adesso né lo sarò mai probabilmente.

      Il discorso è: se vogliamo parlare di rock come arte dobbiamo reimpostare il discorso critico, mettendolo alla pari con le altre arti, sennò stiamo parlando di aria fritta.
      Non dico che la mia linea sia la migliore o l’unica, ma è la sola che finora sono riuscito nel mio piccolo ad intraprendere, ma con umiltà e non con la voglia di insegnare niente a nessuno, sopratutto a chi, come te Sandro, ne sa molto più di me.

      Il celebre aforisma di Zappa mi è sempre sembrata una enorme paraculata, e a tutt’oggi non ho cambiato idea. Se siamo riusciti a descrivere Wagner, anche grazie a Wagner stesso che non disdegnava di spiegare ogni sua singola scelta estetica, non vedo come non potremmo spiegare i Deep Purple o Franz Zappa. Mi sembra quantomeno improbabile.

      E sono d’accordo, il rock non deve necessariamente puntare in alto concettualmente, e lo penso davvero, se no non avrei citato i Ramones come una delle più grandi band di sempre, ma come anche in un post sul concetto di capolavoro parlai provocatoriamente degli esordi di Sonics e Cramps, non di Led Zeppelin e Genesis.

      “Masturbatorio” è godimento senza un fine, di per sé non è un male di certo, ma se dobbiamo fare critica allora non possiamo soprassedere. Un pittore che riproduce perfettamente un’auto per il suo gusto è più valido di Duchamp? Perché non farci questa domanda pure nel rock? Un musicista che produce dell’ottimo jazz rock, con interventi chitarristi della madonna, è meglio di uno che attraverso dissonanze e rompendo le regole della tonalità, descrive i limiti concettuali del rock? Chiediamocelo, dico solo questo, è una provocazione che però non vuole necessariamente portare acqua al mio mulino, ma, proprio come sta accadendo, aprire una discussione.

      Non voglio che i miei lettori siano d’accordo con me, desidererei piuttosto che, quando leggono una mia recensione, abbiano le giuste coordinate per capire il perché di certe valutazioni.

      In fondo questo è anche post di scuse, proprio perché IO sto imparando, non chi mi legge.

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  5. Voglio scrivere un’eresia (e accetterò l’eventuale crucifige che potrebbe seguirne 😀 ).
    A me (sarà solo una questione di gusto o di abitudine?) sembra invecchiato peggio J. Hendrix. Mi piaceva ma non riesco quasi più ad ascoltarlo. Sì, mi suona proprio datato.
    Sarò grave?

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    1. Hendrix è invecchiato di merda, però va onestamente detto che la sua influenza nella chitarra elettrica è senza precedenti. Detto questo non c’è un solo album che sia, per l’appunto, un capolavoro, ce lo ricordiamo per quella sua eccezionale abilità nello scoparsi la chitarra.

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      1. Sembra che tu mi stia venendo un pochino incontro, nel momento in cui sostieni che non ha composto album-capolavoro, NONOSTANTE l’influenza che avrebbe* avuto sui suoi successori, anche se solo come chitarrista.
        Potrebbe valere anche il contrario, no?
        Certi album – come sostenevo – potrebbero essere ritenuti capolavori per meriti intrinseci, NONOSTANTE non abbiano esercitato particolari influssi positivi sui successori.
        Anzi, mi vien da dirti di più: se qualcuno è stato talmente bravo da risultare irraggiungibile da chiunque abbia tentato di seguirne le orme… mi hai capito, no?

        • E se fosse stato un po’ sopravvalutato anche come chitarrista?
          Quanto può aver influito sul suo MITO il fatto che sia morto in giovane età?
          (Ma non seguirmi in questa piccola provocazione o non ne usciamo più).

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        1. Il mito ha influito poco, se per John Lord posso parlarti di Auger o altri tastieristi per Hendrix conosci per caso qualcuno che suonasse come lui prima? E invece dopo? Ci siamo risposti da soli, direi.

          Ma infatti, come ho detto, l’influenza da sé non è assolutamente un fattore sufficiente per definire l’importanza di un musicista o della sua opera. Ciò non toglie che ci deve essere, anche se all’interno di un discorso più ampio e che prenda in considerazione tutti gli altri aspetti (musicali e culturali).

          L’irraggiungibilità non esiste nel rock, persino uno che ne ha distrutto le regole come Beefheart si può riprendere, figuriamoci chi invece le esalta. Tecnicamente nessun musicista è irraggiungibile, chi suona questo lo sa bene, ecco, concettualmente e tutto un altro discorso…

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          1. Credo che cercare uno che suoni COME Hendrix sia assurdo: lo trovassimo, saremmo di fronte a un inutile doppione.
            Credo però che ciò valga per chiunque.
            Infatti non sono per nulla d’accordo che J. Lord suonasse come Auger o chiunque altro.
            Come minimo, c’è un SUONO del tutto personale, poi un linguaggio (scelte nelle scale, nei tempi, nelle dinamiche…).
            E sì, QUESTA cosa chi suona la sa bene, dài…

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            1. Ho capito il discorso, però oltre al tocco personale c’è anche uno stile. Riuscire a far “urlare” l’hammond fu un’idea di Auger, poi è ovvio che chiunque ci abbia messo mano dopo di lui (sempre con la premessa che non fosse un mentecatto) ha cercato di andare “oltre” e non di fare copia-incolla. Stessa cosa per Hendrix.
              Spesso sono piccole scelte a fare la differenza, ma più che a Lord penso a Manzarek che nei Doors si curava di fare basso e linea melodica allo stesso tempo, per poi reinventarsi con un suono acido e punk negli X.

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  6. [Se siamo riusciti a descrivere Wagner]

    Ne siamo sicuri?
    Ne abbiamo una “descrizione” univoca, accettata da tutti, che non cambia nel corso del tempo?
    Non ne sarei così sicuro ma non ho adeguati strumenti culturali per discuterne.
    Però ho vissuto un’esperienza interessante quando mi sono dedicato per qualche anno all’ascolto della musica lirica.
    Sono rimasto sconcertato nel constatare quanto divergessero le opinioni di critici e melomani (competenti) nel valutare le prestazioni dei cantanti, del direttore, dell’orchestra nelle varie esecuzioni di una qualsiasi opera.
    Opinioni addirittura opposte, contrastanti al 100% e variabili (di tantissimo) nel corso del tempo a seconda di… mode o tendenze culturali.

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    1. Wagner si è descritto da solo, per cui siamo a posto. Il fatto che tutt’oggi esistano delle divergenze tra i musicologi è, perlopiù, ridicolo. Comunque sia sui grandi autori la Società di Musicologia (ma in generale i musicologi di tutto il globo) hanno un’impostazione storicizzata netta, ci sono giusto due o tre schegge impazzite. Troppo spesso invece all’Opera, in particolare in Italia, c’è una enorme e mal celata ignoranza da parte dei critici, sempre più chiusi in sofismi e meno su quello che accade in scena (c’è chi sa di musica ma non di teatro, per esempio, o chi di scenografia e non di costume, costruendo critiche assurde basate solo su pochi e in definitiva ininfluenti argomenti).

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