Paracul’ garage rock

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Non che la cosa mi stupisca, in fondo era destino già nel 2007, quando a Fullerton (California) due giovanissimi Lee Rickard e Sean Bohrman, membri dei già paraculi Thee Makeout Party, fondarono nella stessa città dove nacque la “Fender musical instrument company” l’etichetta/negozio di dischi Burger Records.

La Burger non è un’etichetta garage nel senso stretto della parola, piuttosto è un’emanazione dell’impoverimento della scena power pop, un genere che esalta tutti gli elementi più banali del rock (riff, melodia cantabile sotto la doccia a squarciagola, tecnica esecutiva brillante, assoli brevi ma intensi) pompandoli all’inverosimile. Chiaramente a dei poco più che maggiorenni californiani questo non può riuscire a pieno, per cui quello che ne viene fuori è una versione semmai scarnificata del power pop, trovando così un sound simile alle garage band sixties che volevano inseguire il successo dei complessi inglesi.

Il garage storicamente nasce già diviso in due fazioni, da una parte come abbiamo detto c’erano le band incantate dalla melodia facilona del Mersey Beat, dall’altra tipacci alla Monks, band dal sound più duro e incazzoso e dalle liriche finalmente pensanti, che a posteriori saranno ritenute dai critici più superficiali come preludio ante-litteram al punk (e persino al kraut rock nel caso dei Monks!), ma che nella semplicità dei fatti erano una reazione del tutto naturale alla piega modaiola che stava prendendo il rock.

Se la matrice musicologica in fondo è la stessa (il surf rock strumentale degli anni ’50, la fura del rockabilly e le nuove derive psichedeliche) quella culturale è talmente diversa da dividerne i destini musicali, da una parte band che riuscirono ad avere un successo fulminante all’epoca ma che oggi suonano terribilmente datate e scontate, altre invece sebbene snobbate allora entrarono a far parte della leggenda, stimolando negli anni a venire generazioni di rocker del tutto fuori dal mainstream (penso ai già citati Monks, ma anche agli Electric Prunes, Music Machine, Seeds, Fugs, Godz, 13th Floor Elevators, Fifty Foot Hose e centinaia d’altri).

Ma il garage rock della Burger Records a quale parrocchia fa riferimento?

Vedete miei cari lettori, la Burger ha creato una nuova corrente garage, che sta a metà tra le due di cui sopra, il paracul’ garage rock. Un’idea francamente geniale, che ha portato un nuovo elemento nel garage rock che prima era banalmente impensabile: i soldi.

Una volta grattata via la pestilenziale crosta di volgarità e ipertestualità tipica del garage (che non è mai demenziale come si presenta) cosa rimane? Rimangono i riff, la melodia cantabile sotto la doccia, una tecnica raffazzonata quando non inesistente e le liriche sull’erba e sulle ragazze/ragazzi. Il genere perde così tutta la sua carica eversiva, ma ci guadagna non poco sotto il profilo della fruibilità.

Sia chiaro: non tutto quello che cresce sotto l’ombra del grande hamburger californiano è paracul’ garage, ma buona parte della sua produzione lo è ed ha inquinato l’idea comune di garage rock.

Ne è un esempio lampante il 7’ uscito quest’anno dei Double Cheese. Prodotti dalla francese Frantic City Records (la stessa dei Froth fra l’altro) questa band frutto del rapporto incestuoso tra i The Skeptics e Charles Howl, è riuscita dove nessun altro prima si era neppure avvicinato col binocolo: hanno creato la prima hit garage.

Capite bene che la parola “hit” accanto ad una canzone garage formano un’abominio dalle sembianze lovecraftiane, un mostro indefinibile che trascende diversi piani dell’esistenza, un abisso imperscrutabile dal quale la mente può solamente cadere per poi non poter più risalire.

Come poter descrivere con altre parole il successo di I Hate The 60’s dei Double Cheese, che persino nella nostra penisola è riuscita a riscuotere plausi dal web? Cos’altro non è se non la fine di un percorso iniziato 9 anni fa dalla Burger Records? Ascoltatela e continuate a leggere:

Non lo sentite quel riff PERFETTO? Catchy, direbbero gli ‘mericani! La voce, virile e chiara, l’entrata della batteria ad effetto? Il sound e persino più pulito di un album dei Radiohead? E quel gioco formato dal ritornello «Because I hate/ I hate the 60’s» col sound ultra-sixties del pezzo? Ci sta persino l’assolo, cioè dico: l’assolo in un pezzo garage! Sarebbe come sentire una stonatura in un pezzo dei King Crimson! E come suonano bene, come sono bravi ‘sti Doppio Formaggio!

Cari seguaci del garage rock, ma non lo vedete che vi stanno facendo? Vi stanno facendo terra bruciata attorno, vi stanno mondanizzando, siete diventati più sexy degli hipster porcodio, una volta eravate fonte di ispirazione per i punk più viscerali e disgustosi, ora siete roba da heavy rotation su Virgin Radio, vi hanno spento le grandi palle di fuoco a suon di musicassette e 33 giri che fanno tanto vintage, il vostro pubblico non vi sputa più addosso ma vuole seguirvi su Instagram mentre postate foto dei vostri risvoltini ai pantaloni!

Cosa volete farne delle vostre vite: passarla a costruire hit dal sound catchy e ballabile come i Double Cheese, o spaccare le orecchie e il cervello di qualcuno come gli Hallelujah? Perché la Burger Records prima o poi scomparirà, proprio come questa moda del paracul’ garage rock, e quello che rimarrà di questi anni (proprio come dei sixties, dei seventies, degli eighties e via dicendo) saranno gli album di gente che ha proposto qualcosa di diverso dalla norma, che non si è piegata alla moda, e che ha suonato con orgoglio quel genere che affonda le sue radici nel cuore rock stesso.

[NOTA PER I GENI: Questo post non vuole demonizzare la Burger Records, solo il 90% della loro produzione, poiché le eccezioni ci sono e alcune le ho anche recensite, come i The Abigails, Mr. Elevator & The Brain Hotel, Tracy Bryant e i suoi Corners, Pesos e altri.]

9 pensieri riguardo “Paracul’ garage rock”

  1. la roba burger è una palla al cazzo. Pochissime cose si salvano, e come sai a me le robe bubblegum in linea di massima piacciono, ma oh, la maggior parte dei gruppi che escono su quell’etichetta manco una canzone sanno scrivere. Non riesco a distinguerli l’uno dall’altro. Però a mio avviso stai idealizzando troppo il “garage”, che non è un genere ma un approccio, o almeno così dovrebbe essere: il fatto che sia stato sdoganato come “genere” è, a mio avviso, una roba da galera. Cioè, sentir definire (per fare un esempio) i Music Machine un gruppo “garage” per me è un abominio: cazzo, il garage è l’autorimessa, dove si suona per far pratica, mica per fare dei canovacci o per mettersi la parrucca mop top o gli stivaletti alla bitolz. I Music Machine suonano bene, sono sicurissimi di quel che fanno, non possono essere garage.

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    1. Vabbè, mi sta bene tutto, ma i Music Machine non possono non essere garage solo utilizzando un parametro ultra-soggettivo, e comunque sbagliato. Se dobbiamo ridurre la questione del genere nel rock ad una semplice constatazione d’intenti (o alla “qualità dell’attitudine”) siamo alla buccia, è inutile a quel punto parlare di ritmo, tonalità, armonia, parlare musicologiamente diventa inadeguato, uno è punk se si comporta da punk, fine. Io non credo che gli Stooges siano punk, men che meno proto-punk, tanto che si volevano chiamare Psychedelic Stooges, però non puoi negare che Iggy si comportasse come il più punk dei punk. Sgt. Pepper dei Beatles è l’album psichedelico più lontano dai principi del rock psichedelico assieme a “Psychedelic Lollipop” dei Blues Magoos, ma non per questo non lo è! Anzi, è stato persino influente. Per la roba peggio, ma vabbè. È ovvio che Carl Philip Emanuel Bach abbia anticipato molte caratteristiche del classicismo viennese, ma l’uso di un certo cromatismo, la mobilità degli affetti, i preziosismi armonici, sono tutte declinazioni dello stile galante, sì la cosiddetta forma sonata (che poi è tutto e il contrario di tutto, ma non facciamo i precisini) sarà uno dei cavalli di battaglia della musica strumentale classica, però anche se tutti questi elementi musicologici combaciano non bastano per far sì che C.P.E.Bach sia un classicista. I Music Machine si saranno anche vestiti da gruppetto beat in cerca di fortuna, il loro attaccamento ai “valori” garage non sarà integerrimo, ma anche gli Who non erano davvero mod, lo facevano perché fare parte di uno schieramento ti faceva vendere album e riempire i locali, allora sono dei mascalzoni e la loro musica non è “pura”? Un genere è tale non solo per un motivo, e di certo non solo per l’attitudine, e poi se i Music Machine non sono garage che sono? Jazz-prog giapponese? E Dai!

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  2. Io intendo “garage” come attitudine, ma non esiste un minimo comune denominatore a livello di GENERE nel garage, anzi, se esiste è perchè pochi canovacci sono stati estrapolati e portati all’esasperazione col revival degli anni ’80. La realtà è, che nella miriade di singoli oscuri usciti negli anni ’60, ci sono cose troppo diverse tra di loro, ed il “garage” di per se è molto difficile che possa diventare roba di consumo se non come novelty o come pura mosca bianca, e i Music Machine non rientravano assolutamente nel “garage”. Vuoi dargli una definizione di genere? Toh, “rock psichedelico proto-dark”, ti butto questa, ma non “garage”, perchè è musica troppo complessa per essere una cosa amatoriale. Per me il gruppo GARAGE (maiuscole d’obbligo) per eccellenza che poteva rappresentare il fenomeno a livello di massa, al tempo erano i ? & the Mysterians del primo album: “96 tears” va prima in classifica nonostante le loro canzoni siano primitivo r&b amatoriale suonato da dei ragazzini alle prime armi. Oppure gli Swinging Medallions di “Double Shot”, oppure i Music Explosion di “Little Bit O’Soul”: erano un distillato dei mille stili che permeavano le band amatoriali degli USA e avevano una hit fortuita. Il “garage” non è destinato ad evolversi in quanto tale, perchè non è un genere. Sennò tutto è potenzialmente “garage”: quello che intendi tu per me potrebbe chiamarsi “sixties punk”, è una definizione sicuramente meno pretenziosa, più inclusiva, più propensa ad evoluzioni. Tutto questo discorso perchè sono in casa e non ho un cazzo da fare eh.

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  3. Ahahah! Beh se non si cazzeggia su internet sono più dove si possa fare! Io proverei a dare una definizione di garage, assolutamente opinabile e suscettibile del mio tasso alcolico, direi che è un prototipo del rock psichedelico fortemente influenzato dal rock strumentale e dal successo dei complessi vocali inglesi, con una spruzzata decisa di overdrive quando ci sta, fuzzbox, insomma ci siamo capiti. In sé non è necessariamente proto-punk o eversivo, sono garage i Monks come i ? Mark & The Mysterians, lo sono Music Machine come i Seeds. E poi non è vero che il garage non si evolve, c’è un garage con elementi dinamici e un garage invece monolitico (questa l’ho rubata a “Lila” di Robert Pirsig). In fondo molto punk altro non è che l’evoluzione di un certo garage, persino i Rocket From The Tombs che appena nato il punk già avevano elementi post, sono essenzialmente una garage band. Poi molta produzione è come se avesse paura a uscire fuori dallo standard riff-frase-riff-melodiamelodiosa-aririff e così finché non ci si stanca, ma questo è un’altro discorso. Per me la definizione “sixties punk” non può reggere, sarebbe come definire C.P.E.Bach “eighteenth-centuries classicism”! Il punk è qualcosa di ben definito culturalmente e storicamente, non si può retrodatare.

    Bussano alla porta, mi sa che è la neuro. Di nuovo.

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    1. guarda, in 20 anni e passa che ascolto il cosiddetto “garage”, avendo avuto la sfiga di imbattermici in tenera età e di essermi dimenticato dell’esistenza della figa per ascoltarne sempre di più, sono fermamente convinto che quello di cui si parla generalmente proprio non è “garage” manco per il cazzo. Poi è un termine che uso anche io per farmi capire, ma purtroppo da qua non mi smuovo: il “garage” è un termine che indica un’attitudine amatoriale, che non so perchè è stato affibbiato a tutta la musica degli anni ’60 post-british invasion. E’ come dire che, che ne so, tutti i fumetti americani pre-guerra hanno un che di arancia e di conseguenza venissero definiti “arancia” come genere, oppure è come dire che il cinema cosiddetto dei “telefoni bianchi” è un genere e ha fatto scuola in quanto genere: non è vero. Sono cose che hanno fatto scuola in quanto approccio, in quanto attitudine, per cui i Rocket From The Tombs non “fanno garage”: fanno rock sperimentale con un’attitudine “garage”, ad indicare la spontaneità, la genuina derivatività. I Music Machine non fanno “garage”, mi spiace: erano un gruppo pop con un’immagine ben definita, gran canzoni, caratteristiche proprie e zero amatorialità. I Blues Magoos te li passo a metà per via delle cover tipo I’ll Go Crazy o Tobacco Road che tradiscono ore di pratica a cercare di imparare i pezzi che fanno ballare le sbarbe, ma anche loro erano un gruppo pop, ed erano 90% immagine (no perchè nel parlare del “garage” come viene inteso, lasciar perdere il fattore dell’immagine è da ciechi). I Monks mi spiace, erano punk: tu dici che non si può retrodatare, ma in realtà pur essendo culturalmente definito e datato, sono definizioni di comodo, ma è inutile, il punk nasce prima del 77. Se poi vuoi dargli un altro nome posso capire, ma la roba che usciva su ESP, i Red Crayola, i Monks, Le Stelle Di Mario Schifano (perchè no) per me erano punk: ti verrà bene definirli psichedelici, ma per me l’attitudine smaccatamente sperimentale e sfacciata fa di loro gruppi punk. Ribadisco: di hit “garage” (cioè “successi che ben rappresentano nelle classifiche ciò che accadeva nel sottobosco rock americano”) ce ne son state, se vuoi ti faccio pure una lista, ma dire che il “garage” è un genere è una roba figlia degli anni’80, è una roba da chiodo di pelle con la toppa dei Fuzztones dietro…

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      1. Quando dici che il punk esisteva prima del 1976 (data di pubblicazione dell’esordio omonimo dei Ramones, per cui molto di comodo) è vero, ovviamente, ma lo studio storiografico di ogni forma d’arte prevede delle forzature. Poi è ovvio che ci fossero delle band punk prima del ’76, ma è difficile parlar di punk negli anni ’60 per svariati motivi, prima di tutto culturali. Gli Small Faces si comportavano come una band punk, sopratutto dal vivo, erano poco più che adolescenti ma dotati di una furia selvaggia e di urla a squarciagola, i Monks avevano la sfacciataggine e il sound (tranne per i pezzi col banjo elettrico magari) ma si vestivano da dei cazzo di frati ed erano ex-militari repubblicani, non proprio la base culturale tipica del punk. Per punk DOBBIAMO intendere tutta quella sottocultura che riabilita la svastica e i simboli nazisti e li de-contestualizza come il miglior Duchamp, quella sottocultura che si auto incensa nelle nuove fanzine che si diversificavano dalle storiche (NME, Creem, Rolling Stone e via dicendo) per il taglio amatoriale e ribelle, erano frutto di un nuovo nichilismo giovanile che non ha niente a che spartire con la voglia di spaccare il mondo dei complessi sixties, non ci sono più canzoni ballabili ma veri e propri inni di protesta (non politica ancora, per quello bisognerà attendere l’hardcore). Tutto questo discorso per dirti che il racchiudere molti complessi anche diversissimi tra di loro in un genere è il modo con cui la musicologia fa ordine nel caos creativo. Si tende a collocare la musica polifonica nel periodo della controriforma, ma non è che non ci siano esempi prima e dopo, però una catalogazione crea ordine e può dare una prospettiva più ampia di un fenomeno. Poi ovviamente possiamo elencare tutte le differenze musicista per musicista, in un secondo momento. Il motivo per cui il termine “garage” è stato, come dici te, “affibbiato” a tutta la musica coeva e post-British Invasion, è orientativo e serve a ordinare un fenomeno musicale che ha delle caratteristiche ben precise, poi ovviamente se si prende caso per caso esistono delle differenze anche abissali (e qui ci vorrebbe il critico, o ancora meglio il musicologo, per spiegare le differenze che ci sono gruppo per gruppo, canzone per canzone). Se poi i Monks suonavano molto più anni ’70 degli altri complessi poco importa, ed è rilevante solo ai fini di una recensione, ma non per una collocazione storica, in Monks nascono com risposta alla British Invasion, non sono un complesso di professionisti del rock, sono sguaiati e dissacranti, hanno abbastanza elementi da farli ricondurre alla grande ondata garage (e non ha caso ne sono dei baluardi, anche grazie a Lenny Kaye), solo in un secondo momento ne analizziamo la musica e ne svisceriamo la profondità e l’avanguardia. L’attitudine, di nuovo, non fa un genere, altrimenti l’attitudine bohémienne di Mozart ne farebbe un musicista di metà ottocento!
        Sì le hit garage sono esistite quando il garage era una moda che spopolava negli USA, per poi essere dimenticata per quella successiva, e anche le raccolte hanno contribuito a crearne di nuove, ma oggi che il garage è difatti storicizzato e si è creata una coscienza storica e culturale del genere (in particolare sul garage psichedelico che ha influenzato pesantemente il punk), è una contraddizione in termini creare un pezzo garage rock che sbanchi le classifiche presenziate da Muse, Radiohead o più indietro Tame Impala, è qualcosa che ti porta a fare dei compromessi in termini di sound e struttura che ti portano fuori dal genere.

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  4. Bah, il termine “hipster” viene usato in talmente tanti modi diversi che non significa nulla. A parte questo, sono d’accordo su questi Double Cheese, che infatti mi sembrano più power-pop (anche se la linea di demarcazione forse è più sottile di come la fai tu).
    Riguardo alla discussione qui sopra con gaz, sono d’accordo con te, Giuseppe, su una questione di base: l’intento non fa il genere.
    Poi tu in effetti idealizzi un po’ troppo il garage, forse, ma questo perché è il tuo genere preferito (suppongo). 🙂
    Ps: Fifty Foot House garage? Mmmmh

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    1. Fifty Foot Hose col garage hanno poco o niente a che fare, ma al contrario di altre band sperimentali come Red Krayola o White Noise sfruttano spesso la forma canzone, e pezzi come The Things That Concern You comprovano una certa vicinanza all’ambiente garage psichedelico. Il garage non è il mio genere preferito, non che ne abbia nel rock, però è quello che caratterizza il blog, dato che ho avuto dei forti riscontri con dei lettori americani interessati sopratutto al garage e dato che non ho molto tempo da dedicarci a questo bloggaccio, per ora lascio che il garage sia protagonista quasi assoluto.

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