1986. Australia. Il punk è vecchio di 10 anni, e a molti ha già bell’e che rotto il cazzo. Alcuni punkers, in particolare quelli inglesi finora fedeli seguaci degli Stooges e dei Velvet Underground, stavano per abbracciare le classifiche laccate a suon di giacche orribilmente colorate, ritmi ballabili e synth costosissimi. 10 anni sul groppone è già i Ramones sembravano roba vecchia, dei dinosauri. Esce in questo contesto THE TURGID MIASMA OF EXISTENCE, delicato come una pugnalata durante il sonno, terzo album dei The Celibate Rifles, apice di una carriera del tutto sconosciuta al grande pubblico.
Dopo i primi vagiti garage-surf, la band australiana virerà con risolutezza verso un punk decadente, molto diverso da quello delle due band di riferimento di allora, Saints e Radio Birdman, trovando in TURGID una forma molto elaborata esteticamente ma efficace al primo ascolto.
Il muto urlo proferito durante un incubo. Non riesco a descrivere brevemente questo album con altre parole. Troppo Noisey? Allora diciamo che le scariche punk dei Celibate Rifles raccolgono il nichilismo degli Alley Cats ma gli tolgono il gusto profetico del gruppo losangelino. Se gli Alley erano dei liceali turbati da domande esistenziali, i Celibate Rifles sono adulti che non accettano le risposte della massa. Non a caso laddove nei primi c’era un abuso di nenie e ritornelli cantabili, negli australiani c’è una genuina e decadente furia distruttrice.
Il disgusto dei Celibate per il modo in cui viene condotta l’esistenza umana è totalizzante, un grido angosciante che fuoriesce da una bocca indicibile, cartavetro sulle corde vocali, simboleggiato negli acuti e lancinanti assoli di Kent Steedman. Se c’è un album punk dove gli assoli non sono di troppo capite bene che è questo, la loro forma strettamente diegetica ne giustifica appieno l’esistenza, evidenziando un lavoro pregresso di coerenza estetica.
Appena posata la puntina sembra quasi di ascoltare una formazione strumentale, tanto è sospesa la frenetica introduzione di Bill Bonney Regrets. Bisogna aspettare più di un minuto per la voce di Damien Lovelock, che in tutto l’album quasi mai cede agli anthem punkettoni, piuttosto accompagna assieme alla sezione ritmica l’andare malsano e ineluttabile della musica. Ogni elemento insomma non è stato pensato di certo per la fruibilità, ma non cede ad un certo piglio intellettuale, mantenendo costante l’equilibrio tra esistenzialismo e riff della Madonna.
Dio, potrei stare ore a scrivere queste cazzate mentre TURGID continua a girare e girare e girare. Se vi chiedevate da dove arrivava un certo spleen nell’alternative degli anni ‘90 tipo Built To Spill, beh, eccolo qua.
I Celibate sono fedeli alla recente storia punk senza però scadere nei cliché del genere, concedendosi anche dei momenti garage-pop (Glasshouse), ma costruendo sapientemente un ambiente sonoro che non ha nemmeno bisogno delle liriche per comunicare il suo afflato – mi viene da pensare, non c’entra molto forse: cosa sarebbe stato Nick Cave senza Blixa Bargeld? Nick ci metteva l’anima è vero, ma Blixa gli forniva un ambiente sonoro brulicante di significanti.
E di significanti ne è strapieno TURGID, che pure suona sincero come un amico dopo la terza lattina sul divano, ma nasconde una profondità che non vuole essere tirata fuori, e intanto si insinua nella tua testa, creando quella connessione implicita che le parole non possono innescare. Per me quell’amico è Dave Morris, che con la sua chitarra disegna metodicamente riff che non dispiegano intenzionalmente tutta la loro furia potenziale, è lui a sostenere la voce monocorde di Lovelock e lo stridio esistenziale di Steedman, è lui lo sguardo chino del tuo amico che non ti aspetti, ma che ti dice tutto. Magistrale.
Ho letto da qualche parte che questo è il miglior album punk degli anni ’80. Sinceramente non ho mai avuto la presunzione di poter stilare delle classifiche. Non so nemmeno se quello di cui stiamo blaterando adesso, che ci smuove le budella e i neuroni più di qualunque altra cosa al mondo, avrà una qualche rilevanza tra cent’anni. Però si può dire che il rock ha dimostrato abbondantemente di poter essere considerato una forma di espressione fertile e dannatamente efficace, e per me lo ha fatto tramite album come questo.
Rieccomi! Non è rock, ma a me smuove le budella e un sacco di emozioni questa canzone:
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Mi fa cosmicamente cagare. Sia musicalmente che nelle liriche è parecchi universi di distanza dai miei ascolti abituali, non solo rock. Nell’ambito pop preferisco robe alla Clean, Chook Race (insomma, il garage pop), sopporto delle cose dei Portugal. The Man, mi piacciono le atmosfere degli Hospitality. Italiani poi… escludendo tutto il rock e la roba sperimentale direi “Il mondo è come te lo metti in testa” di Giovanni Truppi, che poi di pop ha molto poco effettivamente.
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Sul cinema abbiamo gli stessi gusti (ma proprio uguali spiccicati), sulla musica invece molto meno. Non è la prima volta che mi capita, a dimostrazione del fatto che le varie forme d’arte sono meno collegate tra loro di quanto si potrebbe pensare. Grazie per la risposta! 🙂
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I miei gusti in ambito cinematografico, letterario, artistico, sono molto collegati fra di loro. L’influenza della scena folk del Village proviene da quella beat letteraria, le sperimentazioni dei Fugs e Godz in musica riflettono certe cose di Kenneth Anger. Dopo Bob Dylan il rock divenne il genere che meglio descriveva le urgenze delle nuove generazioni, e deflagrò definitivamente nel cinema della New Hollywood (dagli allievi di Roger Corman), come anche nella letteratura postmodernista (Don DeLillo) Questa influenza a suo tempo pervase anche il fumetto (pensa a Crumb), l’arte (Warhol) la musica colta addirittura, e ancora oggi secondo me è così.
Se si applica un’analisi approfondita ad ogni campo si nota come certi fenomeni culturali tendano inevitabilmente ad influenzarsi gli uni con gli altri, oppure a nascere già dialoganti senza essersi mai sfiorati prima, perché entrambi rispondenti ad delle necessità contemporanee.
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Ah, che le arti tendano ad influenzarsi l’un l’altra è innegabile. Tuttavia, i gusti che le persone hanno possono essere perfettamente coincidenti in un’arte e del tutto opposte in un’altra: è questo che mi affascina. Buoni ascolti! 🙂
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