Il mio disco preferito

Prima o poi ‘sta sviolinata latte e miele doveva uscire.

6 pensieri riguardo “Il mio disco preferito”

  1. Ciao Giuseppe,
    ieri sera ho provato ad ascoltarmi il Tommy dei Who. Mi sono annoiato molto e ho saltato molte parti – l’ho trovato tanto autoindulgente! Absolutely Free e S.F. Sorrow erano più variegato, originali e soprattutto avevano grandi capacità di sintesi! Cose che da Tommy invece non mi sono arrivate.
    .
    Devo dargli una seconda possibilità. Ha schiere di sostenitori ovunque, e non parlo certo di ultimi arrivati: è nelle liste dei migliori dischi di sempre un po’ ovunque, Scaruffi gli dà un 8,…, e anche te lo apprezzi un sacco. Quindi cosa dovrei farci secondo te? Devo ascoltarlo davanti a una candela (bella lunga) per vedere il mio futuro?

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    1. Cazzarola Marco, non mi era arrivata la notifica del commento! Mi sa che sono stato un po’ troppo fuori dal mondo dei social in questi giorni e dentro quello della codeina. Comunque sia:

      Non è vero che “Tommy” sia amato unanimemente, molta critica lo ritiene un lavoro borioso e superficiale (https://venerato-maestro-oppure.com/2014/05/23/quel-gran-bluff-di-tommy/) e non c’è nemmeno niente di male che non ti piaccia. Scrivevo proprio ieri sotto un video di YouTube che gusto e critica non vanno di pari passo, il gusto è solo la molla che permette alla curiosità di affacciarsi. Su “Tommy” sicuramente farò una lunga disamina, perché ne vale la pena e ci sono tante cose da dire collaterali all’opera in sé. Gli Who all’epoca rappresentavano la perfetta macchina da guerra live, nessuno voleva suonare dopo di loro ai festival, e “Tommy” dal vivo era la loro opera più stratificata e ambiziosa (basta sentirsi “Live at the Isle of Wight” per capirne l’impatto sonoro).

      Bisogna entrare nell’ottica del racconto che vuole emanciparsi dalla dimensione biografica (molti riferimenti sono auto-riflessioni di Pete Townsend sulla figura di suo padre, o era suo nonno, cazzo ne so) per cercare di disegnare il rapporto tra la generazione degli anni ’50 (rappresentata da Tommy) e quella della Prima Guerra Mondiale. Tommy non deve vedere, saggiare, ascoltare il mondo, va protetto dalle sue miserie e scabrosità, ma in questo modo gli si impedisce anche ogni forma d’empatia. Il finale è una liberazione generazionale, un atto di violenza come la separazione definitiva, ideologica e spirituale.

      Dai, una volta faccio una guida all’ascolto degli album che non ci piacciono. Scusami ancora per la risposta in ritardo.

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  2. Figurati, questa lunga risposta ricompensa abbondantemente l’attesa. Gli darò una seconda possibilità concentrandomi più sulle liriche.
    P.S. io ti giuro che la prima volta dopo mezz’ora ho chiuso tutto e messo su… Operation Mindcrime! Sarò io poco raffinato, ma le sue ritmiche mi ammazzano

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  3. Ri-scoperto Tommy appena ieri.
    Il problema di noi ascoltatori è che spesso ascoltiamo un disco PRESUMENDO di trovarci qualche cosa in particolare, quando spesso sarebbe ben più opportuno prima “tacere con la mente” e ascoltare quello che effettivamente l’artista cerca di comunicarci con il suo lavoro, e solo poi dare un giudizio (“lusinghiero” o “infausto” qual sia).
    Io mi aspettavo di trovarci una serie di Pinball Wizards e sono rimasto deluso: e non poteva essere altrimenti. Ma era colpa dei Who che non hanno soddisfatto le mie personali presunzioni, o solo mia che non ho capito che i Who volevano comunicarmi “qualcosa d’altro”? Ora capisco bene come la risposta giusta fosse la seconda. E’ un album che trasmette affetto, e che va a comporre un ammirevole manifesto di una vecchia generazione forse più “giovane” di quanto non siano quelle odierne. Un “Lattice di pathos” (sì, la definizione di Scarr è decisamente azzeccata) che regge bene un’opera mastodontica che potrebbe avere cento difetti… ma che ha tanto cuore che non ce li fa pesare.
    Per questo ora lo considero un capolavoro e un opera imprescindibile per capire il rock degli anni ’60.
    Bravo. Sei stato convincente.

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