Etichetta: Gnar Tapes
Paese: USA
Pubblicazione: 2019
Che il buon vecchio Erik Gage potesse sfornare un gioiello del genere non m’era mai passato per l’anticamera del cranio. Conosciuto anche come Rikky Gage, il nostro è membro fondatore di White Fang e dei The Memories, e nel tempo libero è anche uno dei volti più riconoscibili della Gnar Tapes, piccola etichetta affiliata alla fu Burger Records, un covo di scappati di casa senza arte né parte, capaci di far uscire alcuni degli album più demenziali di tutta la scena garage surf americana, gran parte dei quali firmati da Unkle Funkle e Free Weed, ovvero Eric Gage. Free Weed è un fanatico della marijuana, la quasi totalità delle sue comparse alla mitica Gnar TV così come negli album e nelle collaborazioni con altri musicisti, sono tutte all’insegna di questa sua passione insaziabile.
In tutta sincerità fino a poco fa consideravo il suo maggior apporto alla storia della musica un dissacrante video dove assieme al compagno di mille avventure, Unkle Funkle, e un altri pezzi da novanta come Pangea e Mean Jeans, “coverizzano” Africa dei Toto, forse la peggior cover della storia delle cover. Con una premessa di siffatta caratura faccio fatica a credermi da solo mentre scrivo queste parole: “Tumbleweeds” è uno degli album più riusciti dell’intera storia di Burger e Gnar, un lavoro fragile, autoironico e poliedrico, una vera e propria sorpresa.
Di 19 tracce solo una manciata superano i due minuti, sono tutte impressioni che sfuggono ad ogni temporalità, composte alla bell’e è meglio con una drum machine e un PC, registrate come se fossero delle demo per un cassetta da regalare a qualcuno. È una sequenza di singoli strepitosa, Same viaggia sulle corsie del primo garage di Epsilon e Traditional Fools, segue Dirty Birds, esperimento chiaramente ironico ma curiosamente malinconico (con rimandi ai Trashmen), e poi in terza posizione Fantastic, che inscena un dialogo surreale e fa perdere ogni pretesa di orientamento. La title-track è uno strumentale poggiato sulla melodia fischiettata da Gage; a quel punto il disco trova il suo culmine in Things Change, la vera chiave di lettura di questo piccolo progetto: uno sfogo senza pretese. “Tumbleweeds” s’impone anche lui nel mondo moderno del bedroom rock, anticipando non di poco le ansie claustrofobiche della nostra condizione emergenziale. Da quest’ultimo pezzo in poi l’album scivola via come un vino rosso invece che la solita birraccia da pochi dollari a cui Free Weed ci aveva abituati, pur sempre con gusto e voglia di divertirsi. Riff che farebbero invidia ai Gee Tee come Green, cover deliranti e geniali (Renting)emonologhi senza senso (The Hound (Fuck the King)) creano un ambiente mai uguale a se stesso sebbene stilisticamente monolitico.
Senza la pretesa di far ridere, piangere, riflettere, divertire o annoiare, Eric Gage produce una perla da far invidia a grandissimi precedenti come “Activation” di Bo Loserr, o il rivelatore “Singles 2007-2010” di Ty Segall. Sembra quasi un concept album per la sua coerenza sonora, un concept senza tema, costruito attorno alla noia e a quella bizzarra intuizione che ci può cogliere quando tutto sembra non poter cambiare mai.