Wilma Vritra – Burd

Etichetta: Bad Taste
Paese: UK
Pubblicazione: 2019

Questa è la prima recensione hip-hop della mia vita, arrivata dopo che gli anni di ascolti e studio si sono abbastanza stratificati per farmi credere di poter sputare sentenze anche su questo genere. Inoltre ho scelto questo album per battezzarmi perché non c’è unanimità sul suo valore, e forse anche per questo in Italia se ne è scritto poco.

Burd” fa parte di una scena chiamata da alcuni esperti oltreoceano come «dystopian rap» , è un album che è riuscito a farsi notare in un anno splendido per il rap americano (e quindi anche molto saturo), dove i temi del post-colonialismo e le parole di autori-attivisti come Ta-Nehesi Coates insorgono senza violenza ma con indicibile rabbia. Ma “Burd” non è un disco rabbioso, semmai è una digressione lisergica di questioni politiche e sociali che trovano conforto nella droga e nell’in-coscienza.

L’abbinamento dei talenti di Hal Donell Williams Jr., in arte Piramid Vritra, già membro del collettivo Odd Future e Nobody Really Knows, paroliere colto dalla Luisiana, e di Will “Wilma” Archer, produttore inglese ormai in piena ascesa nell’olimpo del rap underground e non solo, è pienamente riuscito, mostrando il meglio di entrambi e al contempo producendo qualcosa di unico. Archer ci mette le orchestrazioni, mai ingombranti se non quando strettamente necessario (The Hill), ed è abilissimo nel creare ambienti che travalicano il trip-hop e la vaporwave, esaltandosi nei momenti strumentali, come in put down I che rimembra i Mensa Group International, o anche nella funky plumage dove sembra rievocare il  Mike Tenay di “Jacuzzi” (2014). In questa produzione Archer s’ispira chiaramente a MF DOOM, in particolare quello estetizzante di “Special Herbs”, però non è una robaccia derivativa, basta tenere conto delle influenze già citate prima, c’è differenza tra omaggio e venerazione (nevvero Black Country, New Road?) .

Piramid Vritra dal canto suo mantiene un flow pulito e bello martellante, non sarà un fenomeno ma viaggia senza colpo ferire tra politica e stereotipi del rapper ribaltati in senso progressista, lo fa con (finta) modestia e sostenuto da una musica sempre stupefacente. Wilma Vritra è una collaborazione che lascia soddisfatti dall’inizio alla fine di queste 16 tracce, dove c’è persino spazio per gli anthem alla Sault ma con altri riferimenti musicali, niente neo soul ma jazz, cloud rap, future funk, senza mai ripetersi pur restando su un solco palesato fin dal primo pezzo (Harness).

In prima linea contro una percezione sempre più “razionalista” del problema razziale, contro le statistiche prese alla lettera alla Sam Harris, che tolgono ogni riferimento antropologico e sociale e banalizza la violenza, contro quel filone di pensiero che ha messo la data di scadenza allo schiavismo e alle sue conseguenze sulla società. Mentre i motivetti sostenuti da una «synth-attitude»alla GTA Vice City ci rilassano, le parole ci scaricano addosso un bel carico di realtà, senza precludersi la possibilità di godere della bellezza anche nel pieno della crisi morale contemporanea. Non solo quindi: «black is the beauty of the brightest day», ma sopratutto: «black magic music» (Vroom), la musica che lenisce, la musica che cura, le tradizioni che sono cultura, che sono identità, che sono un confine che è arricchimento e non un muro nel deserto. 

Non sarà un monumento, ma “Burd” si staglia con lo stesso orgoglio di un capolavoro nella sua scena di appartenenza, fiero della contemporaneità, con tutte le contraddizioni del caso. 

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