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… e infine alcuni pezzi prog piuttosto cazzuti.

Eccoci alla fine di questa mia personalissima trilogia del prog italiano.

Dopo averne criticato gli aspetti più banali e dopo aver elogiato i grandi album meno conosciuti, ci apprestiamo adesso a fare una noiosa e puerile lista di quei pezzi che nei miei anni del liceo consumavo (facevo playlist nelle musicassette, e no: non ho quarant’anni, ne ho ventitré) fino allo sfinimento.

Non si parla dunque di capolavori assoluti o di pezzi al limite della sopportazione per la loro componente sperimentale, ma solo di quelle impressioni positive che un genere pieno di sfaccettature come il prog spesso utilizza inconsapevolmente.

Dal jazz dei Perigeo alla sperimentazione dei Dedalus, dai riff heavy dei Blue Phantom al musical di Tito Schipa Jr., il prog ha intrinseco la possibilità di abbracciare tantissimi generi, tanto che anche band come Gentle Giant che Tool sono assolutamente prog senza avere però nient’altro in comune.

La mia playlist non tocca nemmeno per sbaglio i veri capolavori del prog italiano (anche perché sarebbe semplicemente una lista di tutti i pezzi degli Area dal 1973 al 1978), e un po’ seguendo il leit motiv di questa trilogia raffazzonata è la mia impressione di un periodo che, nel bene e ne male, ha segnato la musica underground italiana.

Stavolta evitiamoci le solite seghe a cielo aperto e andiamo dritti alle songs proposte da questo blogger insopportabile.

L’Uovo di Colombo – L’indecisione

‘Sti cazzi. Allucinante giro di hammond, energia non indifferente in anni come quel 1973 dove il prog italiano si stava stanziando su forme sempre più auto-celebrative, e dove la forma sovrastava non di poco i contenuti. Il prog de L’Uovo è di una accezione ancora rock, e nei suoi voli pirandici non satura l’ambiente come gli Hunka Munka, né si formalizza eccessivamente. Una versione breve e molto più heavy e rock (senza eccessi psichedelici) degli Alphataurus.

Blue Phantom – Diodo

Avevo già parlato di questa band, ma ripetersi non fa mai male, al massimo solidifica quelle prese di posizione nette che fanno tanto bene in tempi in cui “relativizzazione” significa che ogni idiota può scardinare a suon di insulti su Facebook anche le leggi fondamentali della termodinamica. In realtà Diodo non anticipa l’heavy metal, come invece avevo sentenziato con un bell’eccesso di entusiasmo a Gennaio, ma piuttosto la deriva della distorsione verso la drone music. Formazione sconosciuta sorretta dal genio di Armando Sciascia, da recuperare a tutti i costi.

Reale Accademia di Musica – Padre

Uno dei pezzi pregiati della stagione 1972, anche se non tutti potrebbero essere d’accordo. In effetti su questa scelta sono molto titubante perché tra il prog auto-celebrativo per eccellenza c’è proprio la Reale Accademia di Musica! Ma la come i Pink Floyd di Roger Waters cambiarono molto nel soft rock sopratutto grazie ad una meticolosità nella registrazione ormai storica, questo album della Reale Accademia (“Reale Accademia di Musica”) fa più o meno lo stesso nell’Italia prog del 1972, alzando non di poco lo standard.

Free Action Inc. – Aunt Trudy

Il rock spensierato, corale e terribilmente hippie dei Free Action Inc. a me ha sempre fatto impazzire. I meno auto-referenziali di tutta la stagione prog italiana, uno sguardo disincantato verso Broadway e un rock gioioso ma non semplificato attraverso una prospettiva punk. Come avrete già intuito questa mia lista non sta assolutamente andando al di fuori di quelli che sono gusti strettamente personali, non voglio convincervi che questi siano i migliori singoli del prog italiano, sarebbe anche piuttosto difficile, ma è quel che della stagione prog mi  è rimasto particolarmente impresso, e questo folle e corale pezzo dei Free Action Inc. è qualcosa che ti entra nel cervello per non uscirne mai più.

Il Punto – Il tallone di Achille

Seconda traccia da “Ettore Lo Fusto”, disco che fa da colonna sonora all’omonimo film del 1972 diretto dal grande e quasi-dimenticato Enzo G. Castellari. La psichedelica visione di Castellari dell’Iliade è qualcosa di atroce quanto miracoloso, e le musiche de Il Punto c’entrano benino,  peccato che da una prospettiva di musica per film non sono costruite per essere raccordate alle immagini, quindi sono del tutto inutili. Ma senza considerare gli aspetti filmici il prog rock de Il Punto spacca oltremodo.

Buon Vecchio Charlie – Rosa

Un bell’album coronato da alcune idee meravigliose, tra queste la bonus track Rosa. Invece della solita menata su Gesù o sul proletariato (temi portanti di buona parte della produzione italiana fino ai CCCP) stavolta un bel lamento d’amore, tipicamente pop, ma dipingendo un uomo fragile che ha amato una donna di grande intelletto, tale Rosa, e che adesso deve fare i conti con la sua vita di cazzone insensibile (ma che insensibile non è). Mi piace il fatto che si trovi nel mezzo di un album pieno di esaltanti momenti tecnici e spicchi nella sua tragica semplicità.

Biglietto per l’Inferno – Confessione (strumentale)

Sono per le bonus track, non è una novità. Questa versione strumentale di Confessione sebbene orfana della voce di Claudio Canali (e dei suoi testi profondamente anti-clericali) rende giustizia alla grandiosa abilità tecnica della band, il mio pezzo strumentale preferito del prog italiano.

Perigeo – Looping

Pura tecnica, non asservita al Dio mastrurbatorio però, gradevolissimo e importantissimo per il 1975 “La Valle Dei Templi”, un esempio più unico che raro di un jazz-prog davvero fruibile da tutti, frizzante e dinamico come mai. Album capolavoro con una Looping da paura.

Tito Schipa Jr. – Eccoci alla Fine (Tema delle stelle e Finale)

[il pezzo comincia al minuto 6:19]

Non credo che “Orfeo 9” del bravissimo Tito Schipa Jr. sia un capolavoro, né come musical né come film (né tanto meno come doppio album in sé), ma è uno spaccato romantico, ingenuo e al contempo riflessivo e consapevole di quel periodo intriso di lotta politica, rivoluzione giovanile, concerti nel fango, e inutili e inermi vittime della droga. “Orfeo 9” spettacolarizza tutti gli elementi del passaggio tra i ’60 e i ’70 italiani, si impasta in un miscuglio Broadway-blues-pop-rock troppo spesso ridondante, ma di grande effetto. E dunque eccoci davvero alla fine di questo percorso molto intimo e poco critico nel prog italiano, con un pezzo che per la prima volta inserisce la parola “sound” nel contesto musicale italiano, perennemente più ingenuo del suo corrispettivo americano e inglese, ma altrettanto incantato da quelle poche note che in sequenza fioriscono nel rock&roll.

[Grazie di cuore a Romina che nei commenti mi ha fatto notare che Schipa Jr. ha un profilo su YouTube dove ha pubblicato gran parte dell’opera sopra citata, mentre io credevo avesse fatto l’italianata di distruggerne ogni traccia sul webbe. Grazie Romina, la prova vivente che il web serve a qualcosa a parte i magniloquenti video sui gatti.]

Blue Phantom – Distortions

La recensione di oggi è davvero una chicca allucinante. Per ascoltare decentemente questo disco sono finito nella cantina di noto venditore di vinili fiorentino, l’originale è una rarità assoluta nel campo del collezionismo. Certo, mi direte, ci sarà su YouTube (e difatti oggi l’ho trovato per i link), ma un recensore che ascolta un album su YouTube è credibile? Credo che anche la ricerca aiuti la recensione, diventa molto più sentita e attenta proprio perché frutto di uno sforzo (anche se minimo) invece che frutto di un semplice svago girando tra i collegamenti consigliati dal Tubo.

I Blue Phantom non sono molto conosciuti all’infuori dei circoli del collezionismo e non sono da confondersi con i Phantom Blues Band (band blues in attività che vanta collaborazioni con Etta James, Joe Cocker e i Rolling Stones) o con i Blue Phantom Band (band italiana in attività fondata nel ’71, fanno un blues vecchio stile, dal vivo sono indimenticabili) o con le temibili Phantom Blue (le cinque fattucchiere dell’heavy metal).

La band ha probabilmente come factotum il polimorfo Armando Sciascia, dato che il compositore del disco si firma “H. Tical”, celebre pseudonimo del violinista. Siamo nel 1971, Sciascia è stato un grande sperimentatore come dimostrano molte delle sue colonne sonore, difatti per confermare ulteriormente la sua paternità và ricordato come Distortions, il disco che mi appresto a recensire (prima o poi, se non mi perdo in ulteriori digressioni), sia stato usato come colonna sonora di molti film del discusso regista spagnolo Jesús Franco (sì, proprio Jess Franco).

Di certo uno dei più importanti lasciti di Sciascia è stata la fondazione della Vedette, la sua casa discografica, nel lontano 1962. In quell’anno l’eclettico compositore italiano aveva dato la sua arte all’inutile regista Renzo Russo, il film in questione è il noiosissimo Sexy, un delirio di chiacchierate futili e balletti stomachevoli. La Vedette dal canto suo una delle case discografiche sicuramente più attive dell’epoca, e la qualità era piuttosto elevata: si passa dal rarissimo Contrasto dei Pooh, a nientepopodimenoche il primo disco degli Equipe 84, c’è posto anche per il mai abbastanza compianto Giorgio Gaber, il capolavoro dei Metamorfosi Inferno, ma c’è spazio anche per Stefano Rosso! Di certo il colpaccio la Vedette lo fece quando prese il posto della mitica Elektra e pubblicò in Italia nel 1970 Morrison Hotel dei The Doors, uno dei picchi della band americana tornata finalmente al blues che le apparteneva (anche per taluni è invece una netta virata verso idee più rock). Sciascia ha prodotto oltretutto un’altra rarità del panorama italiano: il leggendario Uno dei Panna Fredda.

Il disco dei Blue Phantom viene pubblicato con l’etichetta Spider records, una sotto-etichetta della Vedette dimenticata per strada dall’inefficiente Wikipedia. Dell’ensemble che traduce in musica le indicazioni di Sciascia non sappiamo nulla neppure oggi, un gruppo da studio che molto probabilmente era legato al compositore italiano, quello che sappiamo di certo che uscì solo Distortions e un singolo a lui legato sotto il nome dei Blue Phantom, poi il nulla: niente live, nessuna apparizione in riviste o TV, nessuna paternità riconosciuta, niente. Gran parte di queste informazioni le ritengo sicure, difatti le ho prese dal blog di John’s Classic Rock, in Italia una fonte più che mai autorevole per tutto ciò che concerne il prog made in Italy.

Le influenze derivano certamente dai grandi come Le Stelle di Mario Schifano, qualcosa da Dies Irae (1970) dei Formula Tre, e forse forse dallo sconosciuto quando eccezionale Plays Eddy Korsche – Rock & Blues (1970) dei Free Action Inc., in ambito internazionale c’è tanto dei primi Iron Butterfly,  avrà forse ispirato il disco d’esordio de L’Uovo Di Colombo (omonimo, 1973) e azzardo magari Generazioni (Storia Di Sempre) (1975) dei miei amati E.A. Poe. Il disco è interamente strumentale.

Blue Phantom - Distortions

L’album si apre con una potentissima Diodo. Il riff anticipa in maniera impressionante l’heavy metal inglese più oscuro, mentre la prima variazione con un tastierista sotto acido ci fa tornare in clima psichedelico, un’andirivieni tra riff spettacolari e fughe allucinate.

Metamorphosis ci ricorda che siamo di fronte a degli anonimi che suonano in modo perfetto. Un po’ confuso a tratti, per fortuna la chitarra e la batteria sono ispirate da non so quale divinità musicale. Una chiave di lettura alquanto particolare per il ’71, anche se si presta molto meglio come colonna sonora che come singolo.

Microchaos è una breve perla di saggezza. Riff potenti, suoni da un altro pianeta si intersecano perfettamente, nulla in realtà è lasciato al caos. Questo è un singolo con i coglioni.

L’attacco di Compression per un attimo rimanda a quei torbidi film erotici italiani dei primi settanta che Sciascia certamente conosce fin troppo bene. Per fortuna il suo sviluppo è dedito alla psichedelia più favoleggiante possibile, rimandi con i classici della psichedelia a sfare, un piacere sovra-dimensionale.

Equilibrium riprende un po’ il pezzo precedente, con una profondità maggiore, un tema molto più riconoscibile e un pizzico di Santana (pizzico eh, non mi insultate).

Lato B, si ricomincia col riffone, Dipnoi però è certamente più folle dei suoi precedenti Diodo e Microchaos. Virtuosismi che si susseguono, e mi ritrovo a pensare: questi ci sanno fare di brutto, così mi rendo conto che questo disco vale molto più del suo già folle prezzo da collezione.

Distillation mi fa balzare dalla sedia, un’attacco potentissimo, una cosa del genere se la sognano i Black Sabbath (ci sono tantissime sfumature che rimandano all’heavy metal dalla band di Iommi & Osbourne, comunque l’accostamento – che è stato fatto spesso da altri recensori – è piuttosto difficile per me). Il pezzo dopo qualche minuto parte per i conti suoi, una jam psichedelica di ottima fattura.

Violence è l’ennesima allucinazione corredata di moog e fughe barocche. Il brano è tra i più ispirati del disco, una struttura solida dentro la quale la fantasia dei musicisti capitanati da Sciascia si propaga oltre i limiti consentiti dalla razionalità (esagero un po’, ma è tutta colpa dell’esaltazione di poter ascoltare un rarità di questo tipo).

La calma dopo la tempesta è Equivalence, sostanzialmente una buonissima colonna sonora per un film diretto ipoteticamente da Syd Barrett.

Psycho-Nebulous ha un grande difetto per i miei gusti, inizia come se fosse già a metà pezzo. Mi ha sempre dato fastidio questa pratica, per fortuna mai troppo abusata, quando si cerca di comporre “rock d’avanguardia”. Va bene che il disco è bello ma non è mica Parable Of Arable Land, quindi se magari ti attieni a quanto fatto finora non sputtani tutto nel finale. Comunque Psycho-Nebulous è un chiarissimo caso di riempitivo senza funzione, strano, noioso, di una psichedelia che non ha alcuna funzione se non quella di un fastidioso scampanellio di musicisti sotto acido.

Nella versione CD del 1998, che ho giustamente recuperato solo stamani, sono presenti inoltre Uncle Jim (un bellissimo divertissement alla Barrett, ma arrangiato divinamente) e una versione singolo di Diodo.

Il lavoro è sicuramente un prodotto del tutto inusuale, sebbene le ottime premesse di Sciascia con dischi come Mosaico Psichedelico (1970), in Distortions i suoni e le idee sono inspiegabilmente avanguardistiche, un disco da avere assolutamente per la sua unicità e genialità.*

  • Pro: è un disco unico nel 1971, un caso musicale da studiare e conservare gelosamente.
  • Contro: momenti in cui la follia psichedelica dilagano senza un motivo apparente, a volte la sperimentazione non trova un motivo di essere e dà oggettivamente fastidio.
  • Pezzo Consigliato: Diodo è davvero bellissima, ma anche l’inedita Uncle Jim mi ha esaltato tantissimo all’ascolto.
  • Voto: 6/10

[*ERRATA CORRIGE: come gentilmente fattomi notare nei commenti “Mosaico Psichedelico” è una raccolta postuma mentre il link è riferito a “Impressions in Rhythm and Sound” (qui il link a Circuito Chiuso) album del buon Sciascia del 1970.]