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Al Lover – Sacred Drugs

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Sapete che dovrei fare? Recensire i Goat.
No, davvero non sapete di chi sto parlando?
Dai gente, ne parlano in tutte le riviste, cristo anche Ondarock stravede per i Goat.
Sarebbe utile una recensione di questa band, per parecchi motivi. Intanto di traffico, sai quanta gente in questo momento sta cercando conferme su quell’album, o vuole insultare gente a caso che lo ascolta? C’è un certo hype attorno alla faccenda, ma già tra una settimana potrebbe calare. Però ho un problema. Non ho il becco di un quattrino.

Quindi eccovi Al Lover e la sua ultima fatica: “Sacred Drugs”! Che dirvi se non STATENE ALLA LARGA, porcapaletta. Al Lover è l’ennesimo figlio dei fiori psichedelico preconfezionato per gli sciroccati, lo ascoltano con trasporto solamente i redattori di Noisey e gli avventori all’Austin Psych Fest (di cui Al Lover è il dj ufficiale), i quali a inizio maggio di ogni lisergico anno si ritrovano a danzare sulle note di queste cacofonie psichedeliche, imbottiti di allucinogeni dalla dubbia provenienza.

Ho delle difficoltà ad apprezzare la psichedelia fine a se stessa. Tipo gli Acid Mothers Temple. Che cazzo c’avranno di interessante ancora non l’ho capito, e ho ben cinque album loro (il self title del ’97, “La Novia”, “Electric Heavy Land”, “Absolutely Freak Out (Zap Your Mind!!)” e “Univers Zen Ou de Zéro à Zéro”) che ascolto e riascolto ogni qualvolta un amico sgrana gli occhi perché «come fanno a non piacerti?» semplice amico mio: la loro musica non ha direzione.

Questi “artisti” stanno tutto il tempo a spararsi degli enormi rasponi metafisici sui loro strumenti, senza veicolare alcun messaggio se non le loro paturnie sull’Universo che cambiano di album in album, dipendentemente dalla loro nuovo fornitore di polvere di fata. Credo siano molto più validi album come “Parable Of Arable Land” dei mitici Red Crayola, ma pure il recente “Eleusis” degli Architeuthis Rex (che non è propriamente psichedelico, ma vabbè) , dove il rumore è sempre vettore di un messaggio, dove la musica è narrazione senza il bisogno di parole. Ma a che cacchio servono musicisti come questo Al Lover, a parte aiutarti a perderti nel labirinto dell’esistenza?

Non so nemmeno come descrivervi le tracce, dovrei elencarvi l’ordine di entrata degli strumenti? Parlare di tonalità, ritmo o emozioni e sentimenti? A me sembra una melma informe adatta solamente allo smarrimento allucinogeno, un’inutile paccottiglia di suoni, ritmi world music e nostalgia anni ’60 di una San Francisco che, grazie al cielo, non esiste più.

Ah, proprio quest’anno Mr. Lover ha lavorato ad un album con i Goat.

Ma lo sapevate che negli States sono tornate le musicassette? Ma che problemi hanno? Non mi dite che è per la crisi, per favore, queste stesse band che pubblicano in musicassetta hanno sempre disponibile la copia in digitale dell’album (che costa meno), e non dite che è una questione di purezza del suono perché tra un Flac e una biro non c’è battaglia.
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Tiga – Sexor

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Questo blog tenta di solito di ospitare album rockeggianti, sette sataniche, orge, festini dove – ok, manca la figa, ma non manca mai la birra. Però stavolta mi piego alle esigenze fisiologiche, mi inchino di fronte all’id, perché a tutti noi capita di tanto in tanto di smarrire la retta via una volta nella vita. No?

Era il 2006, sedici anni appena compiuti e una tragica carriera al liceo artistico ancora da scoprire pienamente. Tra una manifestazione e una occupazione cercavo di definire il mio orientamento sessuale ascoltando qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano. Non vado molto fiero di quegli anni.

Ok, ascoltavo il soft rock dei Pink Floyd, ma anche i Sonata Artica, i Freedom Call, gli Slipknot e sì: anche gli Arch Enemy. Tra le altre merdate mi avvicinai anche all’elettronica con un salto lungo (ma che dico: lunghissimo) passando direttamente da “Alpha Centauri” dei Tangerine Dream (tutt’ora il mio album preferito per una serie di ragioni che forse un giorno spiegherò al mondo) ai rave.

Oddio, ma c’è davvero qualcuno che sta leggendo tutte queste mie cazzate?
Comunque, meglio andare al sodo.

Scopro Tiga, un famoso dj canadese, proprio durante questi anni di confusione e ricerca di me stesso. Nell’ambito di chi se ne intendeva Tiga era già un nome noto, celebre remixatore e mattatore di serate allucinanti. Dopo più o meno dieci anni che era nel settore decide di pubblicare un album nel 2006.

Raramente gli album dei dj volano nelle classifiche, e ancor più raramente finiscono nei miei scaffali accanto ai Black Sabbath. Ma così fu.

Quello che secondo me la gente si ostina a non capire è che “Sexor”, il tamarrissimo debutto di Tiga, è che non è “solamente” un album di musica elettronica, ma è (nell’ordine):

  • la sintesi di suoni e effetti che andavano un casino in quegli anni
  • un disco che parla di un pianeta di nome “Sexor” (e scusa se è poco)
  • il miglior album pop di tutti gli anni ’10 del 2000

Non c’è un pezzo di “Sexor” che non sia una perla pop di rara bellezza. Come pop non è mica tecnicamente chissà che, certo, per molti versi è anche al di sotto di una certa media, ma non è comunque pop da classifica. L’operazione di Tiga, che non riuscirà a ripetere col secondo album, è stata quella di creare, senza nessuna consapevolezza, un concept album pop senza le dannate chitarre del cazzo, senza coretti in falsetto freschi freschi da “Surfin’ USA” (Beach Boys, 1962), senza la imbarazzante pretesa intellettuale di Oasis, Verve e Blur, ma con l’esperienza di un artigiano dei rave del cazzo.

Collaborando con decine di compagni dj l’album è una eccezione anche nelle cover. Invece delle solite band Tiga prende in prestito Down In It dal bellissimo album d’esordio dei Nine Inch Nails (“Pretty Hate Machine”, 1989) e la fondamentale Burning Down the House dei Talking Heads (“Speaking in Tongues”, 1983). La versione di Down In It è clamorosa e ridisegna in chiave pop Trent Reznor come nessuno prima e dopo questo album. Ai Talking Heads viene ridata dignità dopo quella oscenità perpetuata da Tom Jones degnamente seguito dai The Cardigans.

Sia ballabili che ascoltabili, le tracce di “Sexor” sono quanto di meglio abbia mai ascoltato nella musica commerciale non per forza auto-referenziale.

Dio santo, dopo questa recensione mi sento stranamente sporco…

Ohi ohi, ora mi devo purgare ascoltando per il resto della giornata “The Faust Tapes”…