Etichetta: EEEE
Paese: Italia/Svizzera
Anno: 2021
Archivi tag: Doors
Mr. Elevator & The Brain Hotel – Nico & Her Psychedelic Subconscious
Freak, psichedelici, anni ’60 e troppo esplosivi per ignorarli, Mr. Elevator & The Brain Hotel sono una delle realtà più frizzanti dalla California.
Capitananti da un geniale Thomas Dolas, già da qualcuno elevato al ruolo di nuovo Ray Manzarek e nemmeno troppo a caso, sono un trio dalle potenzialità ancora da definire. Le strepitose acrobazie sui tasti di Dolas ricordano Ray Manzarek come il più cattivo Brian Auger, il basso di Andrew Minter sembra uscito fuori da una band beat post-Rubber Soul, il ritmo garage alla batteria di Wyatt Blair è il collante necessario per rendere il sound di questa band davvero riconoscibile.
Fin qui mi sono limitato a riportarvi notizie dall’internet, ma cosa c’è di preciso nel finora unico album pubblicato dai Mr. Elevator & The Brain Hotel?
Intanto partiamo dal 7” uscito l’estate scorsa, “Are You Hypnotize?”, citazione poco velata al mitico album di Jimi Hendrix, eppure l’unica cosa che hanno in comune è il rifarsi a quel periodo storico piuttosto che al suo rock, perché la roba che sgorga fuori dalle casse è puro garage rock, non quello rivisitato contemporaneo (Thee Oh Sees) ma una vera e propria ripresa degli stilemi classici del genere.
Certo, la coda della title track di questo breve lavoro lascia intendere una ricerca, una sorta di sperimentazione sul modello dei sixties, mentre Dreamer e acido garage rock con un pizzico di indie. Tutto sommato una presentazione mediocre.
Ad ottobre la Burger Records rilascia il loro album d’esordio, questo “Nico & Her Psychedelic Subconscious”che è almeno due passi avanti i primi due singoli estivi, fra l’altro non presenti dell’album. Subito lanciatissimo il trio psych garage si ritrova in poco tempo ad essere l’headliner di numerosi festival e parte in giro per l’America per far impazzire folle di nuovi e vecchi garagisti e qualche bluesman (proprio ieri hanno suonato in compagnia dei Howlin Rain).
Già rinvangare una figura mitologica come Nico (per molti al pari di un Unicorno su un tappeto volante) è un ottimo modo per ricevere attenzione, ma qui non siamo mica dalle parti della Nico razionale alla “Desert Shore”, ma come ci suggeriscono questi tre californiani siamo nell’inconscio, nell’irrazionalità, nella follia colorata degli anni ’60 che una figura pop come Nico rappresenta.
La corsa spericolata di My Purple i, quell’attacco acido alla Manzarek di Mermaid Song, quel giro rubato al primo Santana di Right Where You Ought To Be (che si trasforma presto in una cantilena psichedelica filo-barrettiana), fino ad una classica Don’t Hold Back.
Parte di corsa anche Infinity, per poi perdersi in un sogno sempre più vicino a Syd Barrett che a Nico.
Diciamo che gli acuti di questo album sono nella breve e acidissima jam Grape Jelly, dove probabilmente sono racchiusi tutti gli elementi che rendono questo album decisamente intrigante. Ascoltatela su Bandcamp, così potete decidere se proseguire o saltare a piè pari questa band. Mentre i primi due pezzi d’apertura sono da antologia, Nico mescola sapientemente Doors, Question Mark & The Mysterians, The Music Machine e altro, riuscendo comunque a possedere un sound personale e riconoscibile! Lo stesso vale per la coda dove si sviluppa la caoticità dell’inconscio (& Her Psychedelic Subconscious).
Un album da avere assolutamente per chi adora questo genere di revival maturi e decisamente non retorici, Thomas Dolas sarà di certo uno dei protagonisti assoluti di questa nuova scena californiana.
- Lo Consiglio: ai garagisti di vecchio e nuovo corso, inoltre a tutti quelli che il rock di una volta dona sempre emozioni nuove.
- Lo Sconsiglio: se credi che Ray Manzarek sia un musicista sopravvalutato allora è meglio che lasci perdere.
- Link Utili: cliccate QUI per la pagina bandcamp della band e ascoltare l’album, mentre QUI per la pagina Facebook, se volete farvi un giro tra le ottime proposte della Burger Records invece cliccate QUI.
E ora, come al solito, qualche video:
Acida live con punte indie nel mitico Jam In The Van:
Ecco, sempre nel Jam In The Van, la psichedelica esecuzione di Nico and Her Psychedelic Subconscious:
Beh, dato che li ho citati…
X – Los Angeles
Secondo disco di questa mia personalissima trilogia californiana punk anni ’80. Ricordo ai cagacazzo e ai precisini di ‘sta grandissima ceppa che non sono gli album più importanti o quelli fondamentali, ma quelli che a me me la alzano di più. Semplice, lineare e schifosamente soggettivo. OK?
Come dicevo anche per gli Alley Cats siamo in una dimensione punk più vicina a Patti Smith che agli Stooges, e la presenza carismatica di Exene Cervenka lo prova ancora più. Se la Dianne Chai era calata nella dimensione pessimistica degli Alley Cats, la Cervenka dal canto suo è la nuova poetessa maledetta del punk, più arrabbiata e meno raffinata di chi l’ha preceduta.
Sebbene preceda solo di un paio d’anni “Escape From The Planet Earth” (The Alley Cats, 1982) il punk degli X è davvero diverso.
L’alienazione che si prova ascoltando il secondo album degli Alley qui scompare, la rivalsa sociale dei giovani oppressi dalla nuova società industriale trova sfogo in questo frizzante beach punk. Sebbene a mio avviso sia il sotto-genere col nome più idiota di sempre, spacca decisamente i culi.
Come una band di reietti bipolari gli X guardavano al rockabilly anni ’50-’60 come ai Doors, la decadenza di Jim Morrison assieme alla sua decantazione intellettuale (Patti Smith) trovano così un raccordo riuscitissimo con l’infiammata chitarra di Chuck Berry. Dai cazzo, ditemi che non prende bene solo a leggerla ‘sta roba!
Per vostra fortuna è molto meglio ascoltarli gli X.
La band si fondava principalmente sulla voce della Cervenka e quella sporadica del suo bassista (e se non ricordo male anche marito) John Doe (un nome che negli USA si utilizza per quelle persone che giuridicamente nascondo la propria identità reale, o per nominare quelle tombe abitate da scorbutici sconosciuti), un ritmo indiavolato, riff brevi, intensi e geniali e una autenticità spaventosa.
Sono così pochi gli album così punk!
Per quando la band sia convinta che il terzo album, “Under the Big Black Sun” (1982), sia in assoluto il più riuscito, credo sia inutile farvi notare come la rivoluzione dei X sia cominciata con “Los Angeles” il loro esplosivo esordio.
Rivoluzione sì, perché mentre Richard Hell aveva teorizzato il nuovo punk (quella che sarà chiamata new wave) gli X lo rimodellano a loro immagine e somiglianza, con testi che invece di fare dell’introspezione sulla generazione vuota (sì ok, vuota ma da riempire, bravi avete letto l’intervista di Lester Bangs a Hell, siete proprio dei figoni del cazzo) o immaginare una fuga dal nostro pianeta di fango e merda proposta dagli Alley Cats, qui c’è una visione reale della società moderna vista da dei bravi ragazzi californiani, stufi della merda ma che la accettano per quella che è.
Hell fa del punk una filosofia, gli Alley Cats ne fanno misantropia, gli X s’incazzano come delle belve e basta.
Ma una nota che impreziosisce in modo ancora più allucinante questo già tosto album è la produzione di Ray Manzarek. Il mitico tastierista dei Doors viene spesso etichettato come un musicista molto sopravalutato. Che coglionata. Manzarek oltre a produrre questa bellezza suona col suo vecchio hammond, e che robette acide e punk ci tira fuori ‘sto povero sopravvalutato nemmeno non ve lo immaginate.
I pezzi che compongono questo capolavoro sono tutti geniali, uniti da un sound molto preciso (beach punk, che nome di merda…) ma senza mai ridondare, cazzo: sono nove gemme punk tutte di alto livello!
Si parte fortissimo con Your Phone’s Off The Hook, But You’re Not, a cui segue il celebre attacco alla Chuck Berry che introduce a Johnny Hit And Run Paulene, subito dopo una versione irriconoscibile di Soul Kitchen dei Doors, e chissene sei già saturo dalla troppa roba buona, perché il riff bestiale di Nausea, con quelle incursioni strazianti e orgasmiche dell’organo di Manzarek, te la fa rialzare subito. Sveglia amico, stai ascoltando un fottuto capolavoro!
Cosa c’è di più perfetto di una Los Angeles con un testo così:
all her toys wore out in black and her boys had too
she started to hate every nigger and jew
every mexican that gave her lotta shit
every homosexual and the idle rich
Cosa ti foga di più del ritmo punk di Sex And Dying In High Society, abbastanza anni ’80 da non sfigurare neanche in una radio di GTA Vice City?
Cosa ti attizza di più del l’irreprensibile riff di The Unheard Music, malinconica senza scassare i coglioni?
E la sapete qual’è la cosa più bella? Che anche i due album seguenti sono splendidi.
- Pro: capolavoro del punk, un disco imprescindibile per gli amanti e per chi vuole farsi una cultura su questo genere.
- Contro: dura solo 27 minuti.
- Pezzo consigliato: Los Angeles.
- Voto: 8/10