Archivi tag: goat

Ci sono troppi “capolavori”!

111224

Ho una lista di dieci album che voglio recensire, più tre discografie che ho già incominciato e altre robe. Però no, meglio un post sul perché non voglio più scrivere la parola “capolavoro” per un album contemporaneo, questo sì che interessa, questo sì che vi ossigena il cervello.
A questo punto credo proprio che il mio livello di incapacità di tenere un blog da “1” a “10” sia un bel “Andrea Scanzi”.

Troppe volte nelle scorse recensioni ho parlato di “capolavoro”. Sì. ok, l’unica volta che lo ricordo distintamente è quella su “Order of Operation” degli Ausmuteants, però sono SICURO che ci siano altri casi simili in altri post. Che comunque non rileggerò. Questa recente epidemia di insano entusiasmo verso alcuni album è dovuta a due fattori:

  1. trovo ridicoli e imbarazzanti gran parte degli album usciti quest’anno tacciati di tale insigne, tra cui “Commune” dei Goat (che mi piacevano e mi divertivano finché non me l’hanno menata a dismisura su quanto siano fighi) e l’ultimo dei The War on Drugs (profondo come una pozzanghera, paraculo e rifinito in sala missaggio per piacere a nonne, mamme, zie e papà);
  2. sono stranamente di buonumore, e questo mi porta a scrivere più cazzate del solito.

Tutto questo lo scrivo sul blog perché, come qualcuno ormai avrà capito, questo spazio nel web sta crescendo assieme a me, e non avendo altri mentori* se non i critici musicali che impestano le riviste che leggo e i miei commentatori, cresce a rilento. Una delle cose che ho capito in questi ultimi due anni è che un capolavoro lo si può definire in maniera corretta solo dopo la sua storicizzazione.

Di fronte ad opere particolari come il primo album dei Velvet Underground o “Trout Mask Replica” nel momento in cui erano uscite non era facile approcciarsi, c’è chi le disdegnava (i VU erano proprio ignorati, come si fa con i barboni o coi leghisti) o chi le esaltava, ma personalmente non credo affatto che il primi siano tutti imbecilli mentre i secondi tutti profeti, credo solo che entrambe le categorie fossero dei critici un po’ troppo supponenti.

L’importanza di un album si intravede nella generazione successiva, per la sua influenza positiva. Ovvio, se per Beefheart si può benissimo parlare di un album fondamentale, anche solo per gli effetti nella new wave e il post punk (ma la sua influenza si estende dai Pere Ubu fino ad oggi), ho sei seri dubbi invece sulla discografia dei Deep Purple, che sì, hanno influenzato tantissimo, ma hanno influenzato tantissima merda sopratutto.

Ci sono generi poi che secondo me si auto-escludono direttamente dalla categoria masterpiece, come il suddetto hard rock, che nella sua chiusura concettuale (riff, assolo, voce che fa «aaaAAAaaaaAAAH!», riff, assolo, coda finale di dieci minuti in live) non ha più nulla da offrire, per cui o lo superi trasformandolo in altro oppure fai revival.

Ci sono anche casi di album dimenticati di grande valore, che delle volte hanno persino anticipato delle correnti (Pärson Sound?), devo dire che ancora non so bene come approcciarmi di fronte a tali eccezioni, diciamo che per ora li ritengo solo “grandissimi album” e porto a casa (sono troppo professionale).

Avevamo anche incominciato un discorso sul concetto di capolavoro nel rock, ma il mondo reale non mi aiuta a sviluppare questo spazio virtuale. Vediamo se quest’anno le cose vanno meglio, ma immagino che tutto dipenda solo da me e non da altri fattori.

In questo 2015 ci sarà qualche re-review in più, ovvero tornerò su alcuni album che ho recensito nell’anno appena passato perché in certi casi vanno ridimensionati (“Order of Operation” per l’appunto) in altri approfonditi (l’esordio dei Nun, i Molochs, i Corners, etc…).

Grazie a tutti quelli che ogni tanto passano e lasciano il proprio pensiero, spero sempre che questo sia prima di tutto uno spazio divertente e stimolante, poi magari un giorno sarà persino competente!

*tra gli altri mentori che vorrei citare ci sono: L’Uomo Ragno, Martin Heidegger, Tristram Shandy e Sid Meier.

Ora vado a videogiocare, (adoro far esplodere cose con questo pezzo):

Al Lover – Sacred Drugs

AL-2-copy1-1024x733

Sapete che dovrei fare? Recensire i Goat.
No, davvero non sapete di chi sto parlando?
Dai gente, ne parlano in tutte le riviste, cristo anche Ondarock stravede per i Goat.
Sarebbe utile una recensione di questa band, per parecchi motivi. Intanto di traffico, sai quanta gente in questo momento sta cercando conferme su quell’album, o vuole insultare gente a caso che lo ascolta? C’è un certo hype attorno alla faccenda, ma già tra una settimana potrebbe calare. Però ho un problema. Non ho il becco di un quattrino.

Quindi eccovi Al Lover e la sua ultima fatica: “Sacred Drugs”! Che dirvi se non STATENE ALLA LARGA, porcapaletta. Al Lover è l’ennesimo figlio dei fiori psichedelico preconfezionato per gli sciroccati, lo ascoltano con trasporto solamente i redattori di Noisey e gli avventori all’Austin Psych Fest (di cui Al Lover è il dj ufficiale), i quali a inizio maggio di ogni lisergico anno si ritrovano a danzare sulle note di queste cacofonie psichedeliche, imbottiti di allucinogeni dalla dubbia provenienza.

Ho delle difficoltà ad apprezzare la psichedelia fine a se stessa. Tipo gli Acid Mothers Temple. Che cazzo c’avranno di interessante ancora non l’ho capito, e ho ben cinque album loro (il self title del ’97, “La Novia”, “Electric Heavy Land”, “Absolutely Freak Out (Zap Your Mind!!)” e “Univers Zen Ou de Zéro à Zéro”) che ascolto e riascolto ogni qualvolta un amico sgrana gli occhi perché «come fanno a non piacerti?» semplice amico mio: la loro musica non ha direzione.

Questi “artisti” stanno tutto il tempo a spararsi degli enormi rasponi metafisici sui loro strumenti, senza veicolare alcun messaggio se non le loro paturnie sull’Universo che cambiano di album in album, dipendentemente dalla loro nuovo fornitore di polvere di fata. Credo siano molto più validi album come “Parable Of Arable Land” dei mitici Red Crayola, ma pure il recente “Eleusis” degli Architeuthis Rex (che non è propriamente psichedelico, ma vabbè) , dove il rumore è sempre vettore di un messaggio, dove la musica è narrazione senza il bisogno di parole. Ma a che cacchio servono musicisti come questo Al Lover, a parte aiutarti a perderti nel labirinto dell’esistenza?

Non so nemmeno come descrivervi le tracce, dovrei elencarvi l’ordine di entrata degli strumenti? Parlare di tonalità, ritmo o emozioni e sentimenti? A me sembra una melma informe adatta solamente allo smarrimento allucinogeno, un’inutile paccottiglia di suoni, ritmi world music e nostalgia anni ’60 di una San Francisco che, grazie al cielo, non esiste più.

Ah, proprio quest’anno Mr. Lover ha lavorato ad un album con i Goat.

Ma lo sapevate che negli States sono tornate le musicassette? Ma che problemi hanno? Non mi dite che è per la crisi, per favore, queste stesse band che pubblicano in musicassetta hanno sempre disponibile la copia in digitale dell’album (che costa meno), e non dite che è una questione di purezza del suono perché tra un Flac e una biro non c’è battaglia.
0003546752_10