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Serj Tankian – Harakiri

Tankian

“Harakiri”, l’ultima fatica di Serj Tankian, è l’ennesima prova che la critica musicale serve unicamente come lettura mentre si è al cesso. Nessuno ha voluto stroncare definitivamente l’ex-cantante dei System Of A Down perché ci credono, dentro di loro ci credono: prima o poi tirerà fuori il capolavoro.

Mah.

Dal 1994 ad oggi Tankian ne ha fatta di strada. Mettersi qui e lasciar scorrere i nomi degli album dei SOAD mi sembrerebbe davvero un’ingiustizia, meriterebbero di essere approfonditi in un’altra recensione, o nell’occasione di un nuovo album (anche se sono tra quelli che sperano che non esca mai).

La band in sé riuscì a mio avviso a fare qualcosa di incredibile: non si fece categorizzare. Non esiste una vera e propria casella nella quale inserire il lavoro dei SOAD, di solito inutilmente trascinati nello scompartimento del nu-metal, ma la verità è che sono pochissimi gli album d’esordio come “System Of A Down (1998) che mostrano una così prominente personalità, un sound straordinariamente già calibrato ed innovativo, un disco in cui si fa fatica a scoprirne le influenze più prominenti a parte quella conclamata dei Dead Kennedys.

Quello che ha fatto la fortuna dei SOAD è stato proprio quel sound, risultato di una amalgama di artisti così diversi tra di loro che hanno trovato fino al 2005 un’armonia (musicale) impressionante.

Tankian stupiva per quella voce; i suoi barocchismi hanno caratterizzato tutta la produzione dei SOAD e trovava la sua perfetta controparte negli agghiaccianti striduli del deus-ex-machina della band Daron Malakian.

Lo scioglimento dei SOAD arriva in un momento molto contorto della loro discografia, l’anno successivo l’uscita nel 2005 di “Mezmerise” e “Hypnotize“. I due lavori divideranno i fan, tra chi reputò questi due dischi una semplice trovata commerciale per vendere il doppio e chi invece invocò la definitiva maturazione della band.

Sciolti i System Malakian e Tankian, le due anime della band, cominceranno due percorsi slegati, il primo fondando gli Scars On Broadway, mentre Tankian si getterà su dei lavori da solista, concentrando la sua attenzione nel far sentire a tutti quanto è bravo a cantare.

L’uscita di “Elect The Dead“, il disco d’esordio del nostro cantante d’origini armene, non lascia molti dubbi su chi fosse la mente del gruppo, anche se va detto che l’avventura di Malakian finora non ha prodotto alcunché di rivelante. Nel 2007 veniamo tartassati dalle uscite dei singoli da “Elect The Dead”, uno più inutile dell’altro. Sebbene siano più che ascoltabili pezzi come The Unthinking Majority o Lie Lie Lie, resta comunque un fatto inappuntabile che il disco non trasmetti niente, se non un triste riciclo di uno dei cantanti più apprezzati del momento.

Ma la cazzata Tankian la fa con “Imperfect Harmonies“, in cui rivisita in chiave orchestrale “Elect The Dead”. Sebbene l’album, e ancora di più la live, siano apprezzabili per l’accostamento dell’orchestra alle doti vocali di Serj, non si può non leggere questo disco come un chiaro esempio di mossa commerciale a causa di una evidente mancanza di idee.

Il 21 dicembre 2012 sarà fine del mondo dicono ma non per Tankian chiaramente, il quale ha già annunciato il suo nuovo lavoro: “Orca“, in uscita il prossimo anno. Cosa? Cosa? Ma neanche il tempo di ascoltare “Harakiri” e già annunci un nuovo disco? La vena creativa ha ripreso a funzionare? Oltretutto “Orca” secondo alcuni rumors dovrebbe essere una sinfonia. In meno di anno Tankian pare aver ritrovato un po’ troppo, obiettivamente.

Ma ascoltiamoci “Harakiri”.

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Il disco è uscito quest’anno sotto la Serjical Strike Records, etichetta ovviamente del prode Tankian, che oltre a se stesso produce band di dubbio gusto. A primo ascolto “Harakiri” non sa di niente. Undici tracce che scorrono bene, senza problemi, ma anche senza attirare l’attenzione.

Cornucopia ci ricorda quanto bravo sia Tankian a cantare. Bene. Grazie. Me l’ero dimenticato. Il ritornello lascia troppe perplessità, in generale il pezzo appare un po’ piatto. C’è in tutto il disco, almeno a mio avviso, un serio problema di produzione. Un altro problema… ma quando cacchio finisce la traccia? Quattro e passa minuti per Cornucopia sembrano alquanto esagerati, senza contare che ad ogni cambio di ritmo c’è una dilatazione temporale un pochetto esasperata.

Figure It Out è un pezzo che se prodotto da persone competenti poteva anche essere un bel pezzo. Così è una serie di riff che si susseguono, come dei loop, un pezzo da garageband.

Ching Chime è qualcosa di tristissimo. Il solito giochetto di parole che piaceva a Tankian dai tempi dei SOAD, stavolta si va dalla imitazione del suono delle monetine ai riferimenti alla Cina, nei System di solito venivano fuori cose allucinanti e divertenti stavolta viene sù un pezzo appena sufficiente, ripetitivo perché troppo lungo. L’ennesima buona prova vocale di Tankian, un po’ più colorata delle precedenti.

Butterfly parte bene, ti carica subito con un bel riffone con i coglioni (finalmente) e i primi cambi ci fanno sognare che speranza c’è. Niente di eccezionale, ma ascoltabile, purtroppo ancora una volta i quattro minuti sembrano troppo per quello che la canzone ha da dire.

Da Harakiri ci si aspetta qualcosa di più, perché è comunque il pezzo che dà il nome al disco, quindi… quindi… ma che succede? Una moltitudine di idee ci vengono sparate tutte assieme, quando il pezzo si calma e ci lascia ancora un po’ confusi sull’inizio a palla, diventa una sorta una melodia strappa-lacrime, senza un passaggio decente dall’una all’altra parte. A mio avviso sintetizza benissimo il disco di Tankian, indecisione, confusione, non si mai cosa vuole trasmetterci esattamente. Ben suonato, ben cantato, ma senza niente da dire.

Occupied Tears arriva alla sufficienza, ma anche stavolta non è comunque un pezzo degno di nota, rientra in una mediocrità dilagante. Ormai la struttura portata avanti da Tankian comincia a ripetersi in modo troppo lampante per non annoiarsi.

Deafening Silence mi fa davvero incazzare. Qualche suono elettronico a mò di: senti come sono moderno, buttati lì senza un motivo, ancora una volta una canzone troppo da garageband. La melodia è apprezzabile, Tankian canta bene (non so più che dire, è così evidente?), un pezzo che comunque ancora una volta non ha niente da dire e al terzo minuto inizia seriamente a rompere le palle.

Forget Me Knot appena comincia mi sembra una canzone di Sinead O’Connor. Giuro. Poi per fortuna canta Tankian. Lo schema ripetitivo non si denuncia in modo troppo chiaro stavolta, comunque secondo me non raggiunge la sufficienza, ok che ha un sound molto più appetibile, come se in cabina mixaggio si fossero svegliati ad un certo punto, ma quattro minuti e mezzo sono troppi, troppi, troppi, per dei pezzi così. E qui mi rendo conto che l’idee erano davvero troppo poche e così ogni pezzo dura il doppio di quanto gli sarebbe normalmente concesso. Ondate di tristezza colpiscono il mio animo e il mio portafoglio.

Reality TV è un pezzo riflessivo sulla TV come già Tankian ne ha fatti. Di certo il peggiore di sempre.

Uneducated Democracy è una botta di vita inaspettata! Ok, un po’ confuso a tratti, ma più che apprezzabile nella sua vivacità, si scorre velocemente tra impressioni musicali veramente ispirate, il miglior singolo di tutta la carriera solista del povero Serj (anche se un minuto glielo avrei levato, così, tanto per).

Il disco si chiude con Weave On, traccia piatta che cerca di coinvolgerci, ma stanca, perlomeno c’è un librettista d’eccezione come Steven Sater.

Temi che vanno dall’ambiente alla TV, Tankian tenta di toccare tutte le corde, e a livello di lyrics c’è, peccato per la musica. Complice una produzione che non riesce ad esaltare alcuni pezzi che potevano dare di più (come Ching Chime, Occupied Tears e Uneducated Democracy) e complice anche una vena creativa alquanto smorta il disco non può superare la sufficienza. L’aria d’innovatività che la critica italiana ha voluto vedere in questo album è del tutto frutto di una allucinazione collettiva. I pochi suoni nuovi che vengono proposti sembrano lì per puro caso, per il resto c’è una involuzione dal disco precedente. Sebbene l’album nel suo complesso sembri superiore, và detto che in “Elect The Dead” Tankian sperimenta molti più ritmi, ha molte più idee, cerca di spiazzare l’ascoltatore (ma non ci riesce), qui invece c’è una linea netta che viene perseguita traccia per traccia, omogeneizzando il disco in unica melassa appiccicosa. Altro che evoluzione.

  • Pro: Tankian canta bene.
  • Contro: una cosa è rendere il disco ascoltabile nella sua interezza, una cosa è fare un disco di copia-incolla da quattro minuti ciascuno.
  • Pezzo Consigliato: Uneducated Democracy è un pezzo con un senso, che si fa amare nella sua ecletticità. Un’eccezione dal 2006 ad oggi nella produzione di Tankian.
  • Voto: 3/10