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Non è tutto prog quel che luccica

Lo so, lo so.

Per questo post sarò gambizzato da qualche progger alterato, però prima di essere ucciso e violato da uno di voi vorrei premettere qualcosina.

Il prog italiano è stato il mio primo amore, ma lo è stato anche di tantissimi altri. Prima del movimento prog non c’era molto in Italia di cui andar fieri (per quanto riguarda il frangente rock chiaramente). Ma la totale adesione alla rivoluzione inglese e in secondo piano americana a posteriori è quanto di più prevedibile ci potesse essere.

Se in America il rock si sviluppa su una idea fondamentale di immediatezza e autenticità (con le dovute eccezioni) in UK il rock è ammaestrato tramite la tecnica e il virtuosismo (con le dovute eccezioni). L’Italia manierista anche in musica ha preferito affrontare un discorso alla Soft Machine piuttosto che Velvet Underground, più King Crimson che Captain Beefheart, più Yes che Who.

Affermare che nel prog italiano di originale non ci sia un granché non è una bestemmia, e sopratutto non toglie valore ad alcune opere uniche ed irripetibili (di queste qualcuna sarà discussa tra qualche post).

Ho partecipato ad una accesa discussione su questo tema proprio qualche giorno fa e come al solito quando gli animi si scaldano a me girano i coglioni. La gente si offende molto di più quando gli offendi il clavicembalista preferito che la mamma. Per me i musicisti, in particolare quelli che amo, mi sembrano tutti dei gran coglioni, e comunque sanno difendersi da soli dagli insulti o dalle illazioni di un cazzone sul web.

Per fortuna che in Italia siamo così ben forniti di cavalieri senza macchia e senza paura per difendere i Queen di turno. C’è da riempirsi il cuore d’orgoglio tricolore.

Comunque quello che vi presento quest’oggi è il primo passo verso una mia brevissima trilogia (sì, m’è presa con le trilogie, sono brevi, inconcludenti e approssimative, per questo mi piacciono tanto) , lo scopo prefisso stavolta è presentarvi una parte del mio percorso nella scoperta del prog italiano.

In questo primo post stilerò una lista di quei pezzi che proprio non capisco come possono essere stati pubblicati senza vergognarsi o di quelli che non hanno passato la prova del tempo. Nel secondo vi consiglierò alcuni pezzi che invece sono (secondo me) da rivalutare. Nel terzo vi proporrò gli album che in assoluto mi sono piaciuti di più (eliminando i soliti noti: PFM, Banco, Area e via dicendo perché imprescindibili e noti a tutti).

Partiamo?

I Vocals – Il Cuore Brucia

[Per gli svegli: è una cover di Into the Fire] Eh, sì, I Vocals non sono esattamente prog, ok, ma perché privarvi di questa perla? Mica si coverizzava solo David Bowie e il brit pop, c’è chi ha tentato la strada maestra delle hard rock band inglesi con fierezza e forse poco acume. Considerando che i testi dei Deep Purple notoriamente fanno schifo e provocano la morte di un neurone di Umberto Eco ogni volta che li cantate a squarciagola sotto la doccia, la versione dei Vocals è talmente brutta da essere incommensurabilmente bella! Un capolavoro trash che travalica i limiti umani dell’immaginazione! Aggiungo una postilla personale: Il Cuore Brucia dei Vocal è anche la canzone con più ascolti completi di tutto il mio iTunes.

Gli Uh! – Più nessuno al campo

Gli Uh! citano nel nome chiaramente gli Who, ma sono una band prog. Coerenti. Più nessuno al campo fa parte di quella lunghissima trafila di canzoni che si annoverano nella grande categoria: “Salva un albero, mangia un castoro”. Ma perché la gente non ara più la terra? A che servono ‘sti campi incoltivati? Un tema micidiale per l’epoca, oggi al ragazzino con l’iPod ultima generazione, disperato perché non sa se riuscirà a comprarsi il PC pompatissimo per l’uscita di Dragon Age 3, fottesega del campo d’arare. Il pezzo in sé è tutto tranne che maligno, carina anche la parentesi strumentale, ma cazzo, ‘sto testo fa davvero scendere le palle!

I Califfi – Fiore Finto, Fiore di Metallo

Ma cosa non vi scovo io? Quali perle! I Califfi si prodigano in un rock impegnato vecchio stile con un risultato a metà tra una sigla di un anime anni ’70 e una serie di virtuosismi fuori luogo, più che rock sembra plastica tale è la sua immediatezza e freschezza compositiva. Ecco, gran parte del sound di moltissime band prog era legato ad una sorta di finzione, era tutto molto cartonato, mancavano però i sani attributi maschili.

Jacula – In Cauda Semper

No ma… davvero? Davvero qualcuno ha preso sul serio gli Jacula? Davvero qualcuno li ha accostati ai Black Sabbath? Anche scavando nella memoria sono pochi gli album così spiccatamente tamarri e privi di contenuti come “In Cauda Semper Stat Venenum”. Ok le atmosfere gotiche, ma una cosa sono i Current 93, un’altra gli Jacula! Quando a metà dei 9 lunghissimi minuti di In Cauda Semper parte anche la sezione ritmica c’è da mettersi le mani nei capelli. Il testo in italiano poi è da infarto…

Flea On The Honey – Mother Mary

Sebbene siciliani, e quindi per me son già due voti in più, i Flea On The Honey (poi Flea, poi Etna e poi per fortuna si son fermati) nel loro primo omonimo album mi hanno insegnato molto, in primis come si fa un album rock davvero brutto. I musicisti son mica scarsi, però la musica torna a far scendere i coglioni. Mother Mary anche stavolta presenta un testo da nobel, utilizzando un tema epico molto caro ai progger italiani: il cattolicesimo. Cosa c’è in fondo di più epico e devastante di un uomo crocifisso e risorto, Re della gente tutta, il quale tornerà per giudicarci inesorabilmente? Dai cazzo, in effetti è figo. Anche se, dopo 2000 anni, un po’ ripetitivo.

I Maya – Salomon

No, non state ascoltando il coro della chiesetta di paese dove vostra nonna va tutte le domeniche mattina. Sono I Maya. Praticamente la conferma ufficiale che in Paradiso si ascolta un sacco di merda.

Moby Dick – Il Giorno Buono

Nel caso non l’aveste capito da soli i Moby Dick si chiamano così in omaggio ai Led Zeppelin, e tra cover e pezzi di collage tra idee originali e plagi di questa caratura si sono fatti paladini della hard rock band inglese per eccellenza. ‘Na roba deflagrante.

Il Balletto Di Bronzo – Incantesimo

Non vi incazzate, a me piacciono i Balletto di Bronzo, ma ditemi voi se questo è un testo normale oppure è stato rubato da un set di fantascienza porno-soft. Ditemelo. Sù.

Milords – Solo vento, solo sabbia

Difficilissimi da reperire i Milords non mancano di certo tra i collezionisti più compulsivi. Tra strumentali alla Il Punto e schizofrenia beat, momenti filo-Battisti e pop, senza dimenticarci degli “effetti speciali” atroci, giuro, cazzo lo giuro davanti a tutti voi, i Milords hanno creato un genere unico, nuovo, inimitabile. Una smerdata davvero inimitabile.

Black Sound – Smog

Torniamo sul tema civiltà contro natura con i Black Sound, band trevisana ormai di culto della sotto-cultura musicale italiana. Commistione unica di cliché e strutture sfruttate fino all’inverosimile, i Black Sound sono una fotocopia vivente di tutto quello che tirava all’epoca, mettendo qua e là un eco (che fa figo).

Hunka Munka – L’aeroplano d’argento

Dedicato a Giovanna G” degli Hunka Munka fu un acquisto obbligatorio, primo: lo conosceva un sacco di gente tranne me, secondo: la copertina è una figata allucinante. Essendo stato ristampato di recente lo comprai senza dover spendere i canonici sessanta euro che di media ti spillano per queste bellezze italiane (parlo ovviamente di pezzi di plastica graffiati dai gatti e con copertine ricamate con un km di scotch, le copie messe bene vanno via a botte di 100.000 €!). Cazzo gente, ma che droga vi sparate in vena? No, sul serio, che cazzo succede in questo album??? Tutti ‘sti suoni che esplodono dalle casse saturano l’ambiente peggio di un disco degli Sly & The Family Drone, ma poi l’avete capito bene il testo? Che cazzo vuol dire “se avessi un aeroplano d’argento farei le corse con il vento, ed una sigaretta col sole mi accenderei” ma scherziamo??? Porca vacca gente, all’epoca ne passava di roba buona…

So bene che questa mia lista è incompleta e di certo non spaventosa come potenzialmente potrebbe, così invito chiunque passi di qua a lasciare pure un suo contributo, sarà pubblicato (deh, sì, col vostro nome, ok) assieme agli altri – se avete un link da qualsiasi piattaforma dove poter ascoltare il pezzo consigliato sarebbe gradito, ovviamente mi aspetto anche una gustosa descrizione!

Alla prossima, feccia!

Suck – Time To Suck

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– Guarda che ‘so un gruppo sud-africano con le palle!
– Non lo metto in dubbio, anche le cover presenti sembrano gustose, però vorrei ascoltarlo prima. –
– T’ho detto che c’ho il piatto sfasciato, dai gesùmadonna, te lo fo’ a quindici euro, ed è pure origgginale. –

Era un po’ che non rimpinguavamo la sotto-categoria “buttare i soldi dalla finestra”, e credo che qualche consiglio al non-acquisto possa solo giovare alle tasche altrui.

In realtà “Time To Suck” (1970) è una mia vecchia conoscenza, tre anni fa stavo in fissa per i Freedoms Children, band hard-psych-rock anni ’70 sudafricana, e un tizio, quello del dialogo riportato come incipit del post, ascoltando i miei deliri su questa band mi consigliò i Suck, coevi e connazionali dei Children.

Quanto sono stato coglione.
Già dal titolo e dal nome della band avrei dovuto dedurne le caratteristiche, eppure quando mi prende una fissa sono piuttosto predisposto alle inculate.

In questi tre anni ho incontrato molta gente che conosceva questo album (ma nessuno che lo possedeva materialmente) e i giudizi erano piuttosto inconciliabili. O proprio li odiavano oppure li amavano con moderazione.

Bisogna dire in difesa di questa band anch’essa hard-psych-rock (che significa: riffoni alla Mountain mescolati a tinte psichedeliche alla Move-Donovan) che alla fin fine “Time To Suck” non è per niente un disco di merda. È solo un disco sbagliato.

Essendo “Tempo di succhiare” un album principalmente di cover è costretto a rivisitare dei classici rock in modo originale. Se non ci riesci stai semplicemente suonando un pezzo scritto da un altro amigo.

Per alcuni i Suck ci riescono, per me invece il disco è una straordinaria parodia dell’hard rock. Un monumento trash alla pari di “Glitter” di Gary Glitter o “Bananas” dei Deep Purple.

Per riuscire a provare piacere da questo album bisogna essere feticisti di quel sound ad un punto tale da non avere più coordinate razionali per giudicarlo. È la totale estasi sessuale che acceca i sensi e il cervello, altrimenti non si spiegherebbe perché Joe Satriani riesce ancora a vendere le ristampe di “Crystal Planet”.

Si apre con Aimless Lady dei Grand Funk Railroad e già c’è tutto. Virtuosismi vocali, passaggi veloci e un sound così hard da sembrare taroccato. Tutto troppo esasperato per poter passare per una cosa seria.

Si passa veloce ad una breve, confusa e a tratti leggermente delirante, versione di 21st Century Schizoid Man. Il livello è quella della classica band prog italiana che coverizza il successo rock del momento.

L’unico vero gioiello è la posata Season Of The Witch del buon Donovan, sentendola mi sono chiesto come sarebbe stata une versione dei nostrani Metamorfosi.

Assieme a qualche cover di Free, Colosseum e un’altra dei Grand Funk (con un attacco di chitarra formidabile), c’è posto anche per i Deep Purple e qui si va nel trash storico. Mitica e scandalosa versione di Into The Fire che così si unisce alla ben più nobile trashata (il riadattamento del testo è epico) dei Vocals: Il cuore brucia.

Che dire, se siete storici dell’hard rock e volete avere tutto, ma proprio TUTTO questo discone è imprescindibile. Stesso discorso se siete dei perversi feticisti del trash made in seventies. Se invece cercate un buon album hard rock anni ’70 rivolgetevi ai Mountain o a qualche band più competente.

  • Pro: è sempre interessante poter ascoltare in che modo gli impulsi del rock americano siano arrivati ovunque, e con quali conseguenze nel sound.
  • Contro: non riesco a smettere di ridere mentre ascolto War Pigs*. È più forte di me. Ma non il ridicolo (malpensantidi’stocazzo) ma per il tono allucinato del cantante e le percussioni sconclusionate.
  • Pezzo Consigliato: cazzate a parte, Season Of The Witch ha più di una buona idea.
  • Voto: 4/10

*ATTENZIONE, la delirante versione di War Pigs è contenuta soltanto nella nuova riedizione in CD, non nel LP originale!