Quattro synth, un basso, una drum machine, una vocalist, fanno punk.
E, potete scommetterci quello che vi pare, i Nun saranno la vostra nuova band preferita.
Sono di Melbourne, Australia, un’oceano e più di distanza, e difatti il loro sound sembra provenire da una galassia lontana lontana, dove non ci sono eroi né salvatori, il loro punk pop non lascia scampo né fa filtrare un po’ di luce, con loro i synth possono urlare di dolore e sanguinare.
Il tappeto sonoro che ci avvolge ascoltando il loro esordio omonimo è diversissimo dalla darkgaze degli Has A Shadow, eppure l’angoscia è la stessa. Due capolavori geograficamente distanti questo “Nun” e “Sky is Hell Black”, ma al contrario del garage californiano di cui in questo blog parliamo spesso questa musica guarda in faccia la realtà, non si nasconde dietro il wall of sound o un riff ripetuto fino allo sfinimento mentre la fuzz machine sta fumando. Di nuovo.
Parafrasando la nenia alla fine di Suppress Electricity: se guardi il fantasma allo specchio il diavolo ti possederà, in questo album il fantasma è il nostro riflesso, trasparente e fragile, destinato a vagare senza meta su questa terra, alla ricerca di una nuova carne con la quale esprimersi.
Il padrino spirituale di questo album è Videodrome, il capolavoro di David Cronenberg del 1983, citando Harlan (Peter Dvorsky) nel celebre film:
Stiamo entrando in una nuova era selvaggia, dobbiamo prepararci ad essere puri e ordinati e anche forti se vogliamo sopravvivere.
Il che è un modo di pensare diametralmente opposto alla furia giovanile punk, ma che in questo album di trasforma, muta (come le creature di Cronenberg) e diventa suono.
Jenny Branagan è la voce nonché la testa pensante del gruppo, e ad una intervista a Noisey confessa come non sopporta quei ragazzini che dicono di ascoltare solamente Einstürzende Neubauten perché lei è un’onnivora musicale, tanto da apprezzare sia Ministry che Rod Stewart, Coil ma anche Tom Jones.
Ciò non toglie che la corsa disperata di Terror Maze diventi angoscia pura, un film veramente “cronenberghiano”, senza via d’uscita, un’angoscia definitiva.
La copertina dell’album raffigura l’esterno di un condominio di notte, la foto di una grana rovinata, l’aria pesante, potrebbe benissimo essere la locandina di un horror diretto da Tomas Alfredson. La prima traccia, Immersion II è scandita dalle terribili urla di Jenny mentre la musica, che affannata, progredisce in crescendo di tensione e angoscia, diventa sempre più ingombrante fino a riempire tutta la camera non lasciandoci più lo spazio per respirare. Un capolavoro.
Evoke The Sleep è la “hit” di questo inusuale album, ricorda alla lontana il punk degli Alley Cats ma del tutto distrutto dai synth, con un’atmosfera incredibilmente più truce, ineluttabile.
È impossibile per me descrivervi pezzo per pezzo questo album, va al di sopra delle mie limitate possibilità, il carisma di Jenny Branagan è di quelli che restano nella leggenda, in Kino questo è dannatamente evidente. Non c’è un pezzo che abbassi la tensione o la qualità generale, al massimo ci sono quelli che la alzano in modo irresistibile.
La già citata Suppress Electricity, Uri Geller, Cronenberg, Terror Maze, In Blood, è davvero una sequela incredibile di ottima musica, uno stile già definito (ma spero non definitivo), i riferimenti culturali o quelli pop come nel caso di quel pennivendolo di Uri Geller sono incastonati alla perfezione in un mosaico molto più complesso di come si presenta al primo ascolto. In Blood poi è un finale perfetto, non so che dirvi ancora per convincervi ad acquistare ‘sta roba!
Questo synth punk è una meraviglia, una goduria per le orecchie e per la mente, questi Nun, o quantomeno questa Jenny Branagan ha un futuro assicurato non solo nella mia collezione di dischi, ne sono certo.
Per quanto mi riguarda band rivelazione dell’anno.