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È uscito il nuovo 7″ dei Molochs e voi stavate dormendo

Sui blog anglosassoni si legge che in questo 7” Lucas Fitzsimons assomigli particolarmente a Neil Young, per alcuni persino a Peter Perrett (The Only Ones), quando invece fin dalle prime note di Sleep In Doom si sente che quell’aria sixteen è solo una scusa, un modo come un altro di esprimersi che i Molochs interpretano a modo loro.

Un po’ del vecchio Neil “Live Rush” Young c’è sicuramente, ma una band che mi solletica particolarmente mentre ascolto a rotazione Living In My Mind e sopratutto Karen sono i Kinks, dove il garage rock non era una scusa per urlare e basta, ma uno strumento narrativo di grande impatto, penso alla forza espressiva di un inno generazionale come I’m Note Like Everybody Else, quella capacità di raccontare non semplicemente il contemporaneo ma l’essenza stessa dell’uomo, è presente in tutte e due le tracce più bonus di questo nuovo lavoro di Fitzsimons e compagnia.

Se consideriamo l’arrangiamento (meno banale di quanto possa sembrare ad un primo ascolto) e la nota abilità di Fitzsimons alle liriche, questo 7” riesce ad essere qualcosa di diverso da “Forgetter Blues”, l’esordio discografico del 2013, ma al tempo stesso non è un passo avanti o indietro, perché la musica dei Molochs non ha tempo né spazio definiti, riesce ad essere universale in ogni contesto.

Un appello ai blog e alle riviste, vecchie e nuove (SottoTerra, parlo a te!), se invece di concentrarsi nel rimembrar le band garage che furono e le pallide imitazioni contemporanee (tipo Bass Drum of Death, Frowning Clouds, Audacity, ecc.) vi concentrasse sullo sviscerare tutto il possibile da grandi artisti della parola come Warren Thomas e Lucas Fitzsimons fareste un gran servizio alla comunità. E poi basta con i Gories, sono ganzi, lo sappiamo, cristosanto.

The Frowning Clouds – Legalize Everything

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Ok che mi piace da matti il garage rock, ok che mi piacciono le band australiane, ok che sono un sostenitore del “per fare qualcosa di nuovo devi prima imparare dalla tradizione”, ma sono anche convinto che “la tradizione è custodia del fuoco, non l’adorazione della cenere”, come disse il buon Gustav Mahler, e qui i The Frowning Clouds mi cascano proprio dal pero.

È inutile dire a giro che ti “ispiri” al garage rock, dì pure che vuoi fare la cover band di Kinks, Sound Sandwich, Crystal Chandelier e in generale riprendere il garage psych e blues senza aggiungerci nulla di più, così perlomeno sei onesto, non stai mica rubando in gioielleria!

Non solo, dopo l’esordio omonimo del 2013, con ben 14 tracce di pura nostalgia sonora, eccoli l’anno dopo sfornare “Legalize Everything”, praticamente una continuazione dell’album precedente. Manco il tentativo di migliorarsi nel fare la cover band!

Che poi mi stanno pure simpatici a me ‘sti cinque ragazzi, perché alcuni riff sono succosissimi (elettrizzante Carrier Drone) e riascoltare del garage blues che non siano i White Stripes ci può stare, anzi ci deve stare (No Blues), però dopo un po’ o sei fissato con questo genere o ti scassi i coglioni, è ineluttabile.

La voglia di ricongiungersi con i figli dei fiori è meno interessante di uno che si spacca bottiglie in testa. Mi spiego: se almeno Ty Segall, che non è propriamente un genio della composizione, ci mette la rabbia (un po’ borghese, ma va bene comunque) invece i Frowning Clouds ci buttano addosso nenie psichedeliche come Leopard Print Tint, cantante con gioia e piano piano, per non disturbare nessuno, non molto diversi da un Jeffrey Novak qualunque.

Su dodici pezzi almeno sei sembrano riempitivi. Non male.

Move It sembra uscita fuori da “The Piper At The Gates Of Dawn” con un finale finto sperimentale che ti fa prudere le mani.

Radio Telescope è un esercizio psichedelico che non si capisce bene cosa ci incastra col resto. Perchè non facciamo dei paragoni con la scorsa recensione, ovvero con “Trash from the Boys” dei Pink Street Boys, anche loro garagisti ma senza nostalgia? Ma sì dai. Anche lì ci troviamo di fronte ad una Korg Madness di cinque minuti che non va da nessuna parte, ma ha un senso nel contesto dell’album, la sua natura ripetitiva (“a bordone”, per gli stronzi) che ci trasporta dolcemente verso la loro personale idea di psichedelia, si congiunge col resto dell’album che vuole essere un tributo alla contemporanea stagione garage californiana ma allo stesso tempo la de-contestualizza nella fredda ed europea Islanda, d’altro canto in Radio Telescope subiamo due minuti e mezzo di rumori già sentiti e risentiti che dovrebbero rifarsi alla tradizione sixties, ed invece sono solo un triste copia-incolla di una sperimentazione morta e sepolta, ormai iper-sfruttata e prosciugata.

Che poi ti ascolti in cuffia una Somewhere Else ed è ovvio che apprezzi il lavoro sul suono, e anche le capacità tecniche della band, non pazzesche ma adeguate, però cazzo mi compro un qualsiasi album di Electric Prunes, Acid Gallery e compagnia cantante e sono a posto, a cosa mi servirebbe la stessa solfa solo registrata meglio? Boh.

Personalmente adoro il ritmo cadenzato di See The Girl, è proprio il genere che piace a me, però che dovrei dire? Mi piace=compralo? Di tutta l’incredibile scelta garage degli ultimi cinque anni i Frowning Clouds rientrano a far parte dei revivalist, ovvero quelli meno interessanti.

Ci sono a giro Molochs, Dreamsalon, Ausmuteants, ci siamo goduti i Thee Oh Sees che hanno riesumato Barrett e lo hanno riportato qui da noi, come fece per gli anni ’80 un certo Robyn Hitchcock, insomma, di roba che ha davvero riscoperto i sixties ma cercando di donargli la propria impronta e nuovi significati ne abbiamo ascoltata a bizzeffe. E questi non ci vanno nemmeno vicino.

Diciamo solo che se proprio hai bisogno di ballare al ritmo garage notte e giorno, e ti sei già stufato dei The Seeds, dei Monks e dei Rats perché ogni giorno vuoi un album nuovo da consumare, allora “Legalize Everything” saprà allietarti le prossime 24h.

Tra l’altro guardando il video che segue ho pensato che sarebbe il caso di recensire i The Memories, che fanno praticamente la stessa cosa solo con una auto-ironia feroce. Loro invece ci credono, cazzo.