Articolo di: bfmealli
Gli Skiantos non esistono più. Da quando Roberto Freak Antoni è morto l’eredità della sua arte è solo quella dei dischi della sua band. Vorrei far notare a chi non ama più di tanto questo gruppo, a chi li reputa degli idioti o chi soltanto li ignora, quanto la vera potenza artistica di questa masnada di musicisti bolognesi fosse la messa in scena dei loro concerti.
Principiamo da un assunto piuttosto dovuto: Freak Antoni non era un coglione. Freak Antoni già nel periodo dell’esplosione commerciale del punk (1977) era ben oltre a quel genere ridicolizzandolo e sminuendolo con filastrocche, rime ovvie e testi stupidi. Non c’è nessun messaggio dietro alle sue parole, nessuna vera denuncia, solo e soltanto la dimostrazione della stupidità umana cantata in 2/4, con riff serrati e chitarre distorte. Gli Skiantos non vogliono apparirci né simpatici né compiacenti: la loro era una vera e propria idiosincrasia nei confronti del pubblico e verso le proprie radici musicali. Il punk per loro non è uno stile di vita, è la satira di costume di un movimento puerile, stolido e sostanzialmente vuoto. Quando cantavano “Brucia le banche, bruciane tante, calpesta le piante” non c’era dietro una dichiarazione di anarchia né, tanto meno, un’araldica manifestazione di violenza verso il potere quanto un’immedesimazione sarcastica nei confronti dei tanti giovani teppisti con indosso chiodi di pelle e jeans strappati. Gli Skiantos avevano capito che l’unico vero modo per far capire la stupidità umana era essere loro stessi, principalmente, degli stupidi. Diventare un manipolo di coglioni, insomma, per mostrare, come uno specchio, ai veri coglioni, la loro misera natura umana.
Il più alto livello concettuale, perché di arte si parla, degli Skiantos, sono stati gli ultimi concerti live. Una lunga carriera trentennale costellata da album magnifici e meno buoni, da canzoni immortali, amorali e, talvolta, avanti coi tempi e canzoni che pure loro si vergognavano di riproporre. Il fatto è che avevano, negli ultimi anni, creato un florilegio di canzoni che, se messe insieme, una ad una, riuscivano perfettamente nello scopo di manifestare al meglio il loro imperativo morale artistico. Negli ultimi brani della loro carriera c’è la canzone Merda D’Artista, un’invettiva nei confronti dell’arte, di come venga spesso pomposamente concepita e di quanto la merda, in sostanza, sia più sincera e diretta dell’arte perché “la merda è solida e l’arte è metaforica”. I loro ultimi live erano una lunga discesa nei meandri della stupidità umana, tutta italiana, senza scampo, senza nessuna possibilità di rivalsa, pessimisticamente, grottescamente sconfitti nella loro stupidità. Non è un caso infatti che ogni loro concerto si concludeva con Largo All’Avanguardia, dove viene reiterata la frase “Siete un pubblico di merda”. Nella loro immedesimazione l’ultimo barlume era per coloro che erano riusciti a scavare oltre la superficie demenziale e guardare dentro al baratro di profondità concettuale di questa band, forse – mi voglio sbilanciare – la miglior band italiana da un punto di vista artistico.
Il loro compito non era facile. Gli Skiantos non sono un gruppo che vuole far ridere, vuole far riflettere, cosa che in molti hanno sempre ignorato. Per loro non c’era gusto in Italia ad essere intelligenti e questo loro manifesto lo mettevano in pratica con le loro canzoni e con la resa, l’ultima prima della morte, di Freak Antoni che, ormai stanco e malato, sempre considerato solo un buffone, decise di concludere l’avventura della band. Nemo propheta in patria, come recitano i Vangeli, per gli Skiantos è più che dovuto. L’aver tentato di mostrare ai propri connazionali la loro stupidità, la loro insulsaggine, la loro demenza non li ha fatti purtroppo riuscire nel proprio scopo. Gli Skiantos sono dei perdenti consapevoli di partire sconfitti, sin dall’inizio, ma non per questo si sono arresi, hanno tirato avanti finché la morte non ce ne ha privati. Hanno dedicato la vita alla propria svalutazione intellettuale, hanno deciso di comportarsi da dementi per rifletterci per quello che siamo. Ma noi, come specchi, l’unico tipo di riflessione che abbiamo fatto è stata esclusivamente quella di rispecchiarci e ridacchiare e non quella di ascoltare e pensare.
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