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Hallelujah!, New Berlin, Magic Cigarettes, G. Gordon Gritty

Ma non li recensisci il Trio Banana?
E gli Inutili?
E Tab_Ularasa?
Ma ti piacciono i Go!Zilla?
E la retrospettiva su Wyatt?
E la discografia di mia nonna?
E la carbonara me la fai?
Però senza pancetta eh, che sono vegetariano.

Vi voglio bene. Anzi no.


Hallelujah! – Hallelujah! (2015)

Ve la ricordate la Depression House Records? Quelli che avevano fatto uscire quel bel 7’’ dei Blind Shake in terra italica? Beh, che ricordiate o no fottesega, l’importante è che adesso non commettiate l’errore di non ascoltarvi il deflagrante esordio degli Hallelujah!

Mi avete svoltato la settimana Hallelujah e non lo sapete. Lunghi tratti in treno e bus riempiti dal frastuono di Fugazzìn messa in loop finché  il cervello non fumava via tutta la merda della giornata. Un garage così cattivo così ignorante era un po’ che non lo sentivo.

Un attacco magniloquente come quello di Red Mestruo si fotte buona parte della concorrenza californiana, in particolare quella edulcorata della Burger, così intenta a cercare belle melodie canticchiabili sotto la doccia che ha dimenticato cos’è il sudore, l’attitudine.

È un insulto questo 12’’, in primis al buon gusto, e poi alle logiche che vogliono il garage, oggi seguito in Italia da sempre più fanzine e riviste dedicate, come un genere addomesticabile e addirittura piacevole.

Non c’è malinconia psych o revival sixties con quelle voci mai urlanti ma al massimo cantanti, non c’è mai nemmeno un attimo di tregua se è per questo.

Quasi sembrano cascarci sapete? Quando parte Space si percepisce un pizzico di Psichedelia Occulta (con quel gusto kraut e space rock che piace molto alle formazioni psichedeliche nostrane) e con un po’ di rock teutonico, ma bisogna solo pazientare un po’ per farsi di nuovo travolgere da un wall of sound inclemente.

Grazie Hallelujah per avermi ripetutamente violato l’apparato uditivo, spero di poterlo rifare presto con del nuovo materiale incandescente.

New Berlin – New Berlin (2015)

Ve lo ricordate Michael Flanagan? Quello delle Deep Secret tapes? Forse è meglio se la smetto con le domande.

Mr. Flanagan oltre a produrre musicassette del miglior garage texano ha una sua band: i New Berlin per l’appunto, e si dia il caso che spacchino moderatamente.

Un garage asettico, minimale ma senza per questo risultare freddo e palloso. Mi ricorda vagamente i lavori solisti di Tracy Bryant (Corners) in particolare i momenti più felici di “Same Old News” con quella mescolanza di un pop raffinato alla Alex Chilton e garage scanzonato, ma c’è sopratutto del post punk nel sound che non può passare inosservato.

Propongo di concentrare le nostre forze, offuscate da anni di alcol e scorribande, sulle due cover presenti in questo brevissimo esordio, che entrambe riescono grazie all’interpretazione della band a delucidarci sul suono di questa Nuova Berlino:

I Don’t Care dei grandiosi Ramones ha un gusto teutonico potente, se l’ascolti troppo rischi te ti vengano i capelli biondo-nazi di David Bowie in “Low”, i NB riescono a spurgare i Ramones dalla frenesia punk, lasciandoci addirittura un un velo di malinconia, concentrandosi sulla melodia cantilenata e un ritmo ipnotico. Bird on a Wire di Leonard Cohen conferma queste sensazioni, la totale assenza di profondità nel suono e una ricerca estetica che è con una gamba nel lo-fi e con l’altra nel sound chiarissimo-pulitissimo-altissimo dei Young Marble Giants.

In generale è sorprendente la facilità con cui i New Berlin pescano melodie orecchiabili e riff garage della Madonna, Radium è uno strumentale a tinte surf che persino nell’asetticità del sound ti fa alzare il culo dalla sedia, Taco Madre ha una sezione ritmica banalissima e un riff anche peggio, eppure fila che è una meraviglia, sarà anche i pezzi durano in media 1 minuto e mezzo (per me un fottutissimo merito).
Escono ogni anno centinaia di album/EP garage che spaccherebbero i culi a destra e a manca se solo i pezzi durassero poco! Che cazzo ci fai con un pezzo garage rock da 5-6 minuti?!? Gli unici che potevano permetterselo erano i Plan 9, ma loro sapevano suonare, il 99% delle band garage NO!

Comunque un album che si apre con un pezzo che si chiama Hardcore Punk ed invece di spararti nelle orecchie una roba alla Black Flag ti fa l’assolino new wave e il riff garagista vecchia maniera va solo encomiato con fiumi di birra – rigorosamente super-scontata al discount.

Magic Cigarettes – Magic Cigarettes (2015)

Dicevo: a che cazzo serve fare un pezzo con più di 5-6 minuti di garage rock? Un modo intelligente per ovviare al problema ripetitività è mescolare il garage ad altri generi, renderlo più elastico e predisporlo a variazioni e nuove dinamiche. Ed è più o meno questo quello che fanno i Magic Cigarettes.

L’anno scorso avevo ascoltato il loro “Demo EP” apprezzando la tecnica, ma non molto la sostanza. Per carità: bel tiro My Harmony, carucce le influenze barrettiane (Cut Your Wail) ma c’era troppo testosterone per me (assoli, raffinatezze stereofoniche, dinamiche già ascoltate mille e mille volte che servono solo a mostrare i muscoli agli amici musicisti). Comunque dato che non avevo buttato via tutto, tantomeno il ricordo delle cose buone, mi sono ascoltato il loro album omonimo uscito quest’anno.

E mi tocca confermare amaramente che i Magic Cigarettes da Rovereto non hanno fatto quel salto che speravo. Non ho nemmeno tante critiche oggettive da muovere contro questo esordio psichedelico-garagista, che non riesce ad essere virtuoso come un “Typical System” degli australiani Total Control ma ci prova, e non ha nemmeno un pezzo da sfondamento come Loner dei francesi Volage che riesce a rendere più che passabile un album altalenante come “Heart Healing”, per cui rimane come una pièce teatrale incompiuta, ben scritta, con una bella messa in scena, ma di una roba che bene o male abbiamo già visto parecchie volte e senza spiccare in nessun aspetto in particolare.

Ciò non toglie che ci troviamo di fronte ad un prodotto ben confezionato, ma con pochi momenti interessanti e che alla lunga stanca nel suo barocchismo sonoro.

G. Gordon Gritty – Still Not A Musician (2015)

Se ne sta su una panchina con Jay e Silent Bob, probabilmente in cuffia i Red Krayola quando ancora si poteva scrivere con la “C”, e continua a non essere un musicista il nostro G. Gordon Gritty.

Fino a poco tempo si faceva chiamare Gangbang Gordon e mi aveva violentato il cervello con un EP davvero poco convenzionale “Culturally Irrevelent”. Continua così l’epopea di GGG, insofferente e irriverente non-punk non-rocker da Wakefield, con questo “Still Not A Musician” ripesca dalla sua produzione e prosegue nella sua visione super-oggettiva sia della musica (disorientante, ritmicamente improbabile e melodicamente disturbante) che del mondo che lo circonda, descritto con cura e senza artifici.

Un continuo dialogo tra realtà e mente, che rende questo album la vera opera d’arte del lo-fi, anche perché è l’unico album dove ha effettivamente senso usarlo!

“I’m not a musician. It’s just what I do.” canta, se così si può dire, GGG, 34 canzoni senza sconti di alcun genere verso l’ascoltatore, canzoni dove GGG desidera avere un accento da straniero,  dove si lamenta dei group projects, dove un attimo prima sta per esplodere e poi rappa qualche delirante pernsiero sulla giornata o sulle ragazze che non se lo filano, perché lui è uno che pensa.

Pillole di weird-rock (Life At The ABC, rivisitata proprio da “Culturally Irrevelent”), invettive a tutto quello che gli passa in testa con una chitarra scordata in mano (Achin’ Like A Traveler), sentori di Pussy Galore, di noise, persino di Oblivians, ma che scompaiono velocemente, perché non ci sono coordinate nel flusso di coscienza che GGG declama svogliatamente al microfono.

Non so se è davvero così culturalmente irriverente il lavoro di GGG, cosa lo è al giorno d’oggi dopo che abbiamo ascoltato davvero di tutto? Direi semmai che è interessante questa visione ultra-oggettiva della musica come espressione del suo ego in forma pura, senza struttura musicale ma solo con caotiche impressioni sonore che spaziano dalla banalità al nonsense (Hidden Track), quasi non gliene fregasse niente che ci sia qualcuno in ascolto.

Personalmente non faccio fatica a descriverlo come un album rock, la critica ha accettato cose ben più improbabili e sperimentali, quello che GGG fa non è un eccesso di virtuosismo o di stronzaggine, piega il genere a una sua immagine fregandosene del contesto, fregandosene di chi ascolta, fregandosene a volte persino della musica.

I profondi segreti del garage rock texano

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Edinburg è una città di 70 mila abitanti circa nel polveroso Texas, girovagando nel suo centro troverete il Galax Z Fair un malfamato locale di musica alternativa aperto tutti i giorni a qualsiasi ora, non molto distante c’è anche la sede della Deep Secret, microscopica etichetta passata all’attenzione della ben più celebre Burger Records per via dell’astruso progetto del proprietario, riesumare il garage rock dei sixties… texani!

Michael Flanagan dice di aver studiato filosofia prima ad Austin e poi a San Antonio, non so bene quale riflessione intorno al logos o al dasein lo abbia portato a produrre musicassette di sconosciute band garage, ma per questo lo ringraziamo di cuore e vorremmo offrigli una birra al più presto.

Prima che esplodesse la moda in California Flanagan ha puntato tutto su un ritorno al disgraziato formato delle musicassette invece del solito vinile, non perché sia un hipster tra gli hipster (quello è Slow Magic), ma perché quel piatto di plastica nera costa troppo, mentre i cari vecchi tapes te li tirano dietro assieme agli improperi.

Grazie al supporto del festival locale gestito proprio dal Galax Z Fair, Flanagan trova sponsor per la sua etichetta e non pochi acquirenti. Il garage, sebbene ancora non sulle pagine delle riviste (siamo intorno al 2007) è già il fenomeno del momento, e Flanagan registra una compilation delle band che passano per il locale, selezionando quelle che secondo lui sono più meritevoli.

Il risultato è “Deep Secret Vol. 1” (uscito credo intorno al 2012), un delirio di psych garage, un collage schizzato di band perlopiù incapaci di tenere una chitarra in mano, ma dannatamente interessante. Difficile non innamorarsi di Crutches dei Vatican Beach, come dello scoordinato rock and roll dei KЯUX, la dichiarata incapacità dei The Puzzles troverebbe uno spazio di riguardo nella Gnar Tapes tra ubriachi fattoni che cantano Africa dei Toto e i melensi e ambigui The Memories. Ci sono anche sprizzi pop come in Soap Box dei Dandy Heat, o il meraviglioso blues strumentale dei Pyramid Mirror. “Deep Secret Vol. 1” non può passare inosservato e il culto comincia ad espandersi.

Con “Deep Secret Vol. 2” Flanagan alza il tiro e ripesca perle perdute tra il 1964 e il ’69 del garage texano, cominciando a dare una profondità storica alla sua ricerca musicale. Stiamo parlando probabilmente di una delle raccolte più belle di sempre assieme alle già leggendarie Nuggets e Back from the Grave, composta ancora da solo dodici pezzi “storici” ma decisamente gustosi.

Accenni di proto-hard rock in You Keep Me Hangin’ On dei Sight & Sounds, lo scapestrato garage alla Music Machine dei The Cavaliers, un atroce giro di synth per These Are The Tender Years dei The Esquires che del tutto irrazionalmente adoro fino allo sfinimento, i tamarrissimi Liberty Bell di Reality Is The Only Answer, non si butta niente per Flanagan, che per fortuna non ripesca necessariamente le band più legate agli stereotipi garage rock, ma anche chi ci è passato semplicemente vicino.

Notevole la chiusura strumentale, un garage surf rock travolgente con The Birds dei The Outcasts, il chitarrista che immagino sia sconosciuto mi ha conquistato per la sua indole casinista.

Dopo la riscoperta ecco “Deep Secret Vol. 3” uscito quest’estate, tutte band selezionate quest’anno e che meritano più di un ascolto. Dall’ottima presentazione con Hay Kamu! dei The Secret Prostitutes, fino a la luna dei The Rich Hands è un viaggio tra i più psichedelici che siano mai stati raccolti e distribuiti. 14 cazzutissime perle di psych garage di band che stanno riscoprendo i peccati dei loro padri per ripeterli il più fedelmente possibile, a soli 5 dollari su Bandcamp (quindi quanto, tre euro?).

Il fenomeno garage rock americano oltre a non essersi mai veramente fermato sta scoprendo una nuova linfa vitale, anche se già da dove è partito (California) si sta cominciando a guardare verso nuovi lidi, a riscoprire i suoni degli anni ’80 post punk (vedi Nun, Corners e Dreamsalon) sembra incredibile che nell’età di internet solo adesso in regioni lontane come il Texas (e, se avrò tempo, presto parleremo anche dell’Australia) stiano cominciando a esplodere festival garage rock. Forse un po’ del merito va anche a Michael Flanagan e al Galax Z Fair, chissà…

Eccovi un po’ di succosi link: cosa fa Flanagan nel tempo libero? Ha un canale YouTube ovviamente! Cliccate QUI se volete gustarvi qualche intervista alle band che passano per il Galax Z Fair, se invece volete saperne di più sol locale eccovi QUI un comodo link per la pagina Tumblr, se volete rimanere aggiornati sulle uscite della Deep Secret eccovi il QUI il link per la pagina Facebook. So’ troppo buono.