[ALERT: Questo articolo è brutto e invecchiato male, leggiti QUESTO QUI che è meglio!]
LA PREMESSA NECESSARIA:
La prima cosa che vorrei eliminare da questa discussione è la figura di Piero Scaruffi. E con essa quella di qualsiasi altro critico. Non tanto perché io non creda nel valore della critica musicale, o della critica in senso lato.
Vorrei ricordare che la figura del critico serve per comprendere meglio un dato fenomeno artistico tramite gli studi, le comparazioni e il giudizio quanto più obbiettivo dello stesso. Chiunque creda davvero di comprendere un’arte, qualsiasi essa sia, senza studiarla perché a suo dire: “l’arte è un qualcosa che ci viene donato dall’artista è dev’essere universalmente comprensibile” è meglio che giri a largo da questo blog e dal suo blogger, che se m’alzo male lo lego alla sedia e lo costringo ad ascoltarmi mentre faccio una orrenda disamina di sedici ore su La Mariée mise à nu par ses célibataires, même di Duchamp. Fidatevi, riesco a mala pena a sopravviverci io.
In questo caso particolare lascio stare la critica, come lascio stare anche ogni idea di giudizio soggettivo.
A me piacciono un casino, ma davvero un casino, gli Spirit. Avete presente Fresh Garbage? Ecco, per me I’m Truckin’ è uno di quei pezzi che potrei ascoltare giorno e notte. Ma non per questo se dovessi fare una disamina storica degli Spirit sparerei solo i miei segoni mentali su quanto questa band mi ecciti sessualmente, no, dannazione, proprio no!
Il mio pezzo dei Pere Ubu preferito è Blow Daddy-O, quello del rock in generale Kick Out The Jams!, sono malato? Non lo so, secondo mia madre certamente, ma in questi anni che studio rock da un punto di vista leggermente più serio e storico oltre a scoprire altri pezzi che me la alzano ho anche scoperto che, come nella grande arte, ci sono vari livelli di godimento.
«Ehi stronzetto, ma ancora non stai parlando dei Beatles!»
Sì, lo so, sto cercando di tirare fuori un concetto invece del solito stronzo.
«Ok, ok, amico, pensavo solo ti fossi perso tra le tue solite menate.»
Grazie che mi tieni d’occhio.
«Non c’è di che.»
Dicevamo dei vari livelli di godimento.
Tutti possiamo apprezzare le doti tecniche di un pittore rinascimentale, ma non tutti possono capirne il valore effettivo.
Mi stupivo quando alle mostre molta gente snobbava gente come Paolo Uccello, Piero della Francesca, Masaccio per pittori magari minori ma che in alcuni casi erano più realistici. Per quanto uno possa apprezzare La Pala di Brera di Piero della Francesca, vorrei sapere quanti conosco il modo con cui l’opera fu accolta, per cosa e da chi fu commissionata, se fu commissionata da qualcuno (a qualcuno il dubbio potrebbe anche sorgere), se oltre la mera raffigurazione c’è qualcos’altro, che tipo di simbologia e iconografia vengono usate, in che modo e perché la tecnica di questo quadro è la fusione delle esperienze dell’artista e via dicendo.
Al passante che apprezza l’arte nella sua forma più effimera non gli importa un fico secco di tutte le questioni che incorniciano un’opera d’arte figurativa. E questo è giusto, se gli piace da impazzire già così dove sta il problema?
A me dà fastidio vedere certi “critici” insultare appassionati amatoriali solo perché gli sfugge il significato del corallo rosso su Gesù Bambino o dell’uovo di struzzo appeso che pende sulla testa della Madonna (/Battista Sforza). Ognuno ha il diritto di poter apprezzare l’arte anche senza uno studio approfondito.
Ma mi dà molto, molto più fastidio, quegli appassionati che vogliono fare i “critici” perché conoscono un paio di date, oppure vita, morte e miracoli di un artista, come se la biografia fosse l’unica cosa che abbia un valore.
Badate bene: per ogni artista di ogni campo, la biografia ha un valore minimo quando non nullo per definire le caratteristiche della sua opera. È ovvio che I’m Waiting for the Man descrive l’esperienza diretta di Lou Reed, ma il suo valore storico e musicologico sono altra cosa, e hanno ripercussioni e significati diversi dall’esperienza dell’artista.
Inoltre ricordate sempre di non ascoltare mai il giudizio degli artisti stessi, sulla propria e sull’opera altrui. Sono rarissimi i casi di artisti intellettualmente validi al di fuori della loro sfera di competenza. Detto in parole povere, Scorsese potrà dire che Bellocchio è il regista più importante della storia, ma ciò non significa che lo sia, sebbene Scorsese sia uno dei registi più influenti della storia.
«Ma se tu c’avessi rotto il cazzo?»
Oh, non è mica una cosa semplice! Sto cercando di fare un discorso serio!
«Oh, ma stai calmino! Hai mica mangiato pane e allegria a colazione?»
Sigh…
La gente tende ad apprezzare l’arte figurativa e a dispregiare l’arte contemporanea perché se in una può leggere una abilità tecnica (che è solo una caratteristica, non sempre fondamentale, per giudicare un’opera d’arte, in mezzo a mille altre altrettanto importanti) nell’altra non ha la chiave di lettura adeguata, ovvero: non ha studiato. Pochi cazzi.
Se credete che certa arte sia sempre stata grande vi ricordo che anche a Leonardo Da Vinci e a Michelangelo gli rifiutavano opere già concluse o progetti in via di sviluppo, e che Leonardo ha dipinto L’Ultima Cena in una mensa per frati affamati e le più grandi intuizioni di Michelangelo (il non-finito) ancora oggi sono quasi del tutto sconosciute ai “critici” amatoriali.
Parliamo di rock?
Bene, per il rock vale tutto il discorso fatto sopra, come vale per la musica in generale e tutte le arti di ‘sta ceppa.
Sui Beatles abbiamo la fortuna di possedere una quantità di dati critico-biografici a dir poco esaustivi. Come per tutti i fenomeni artistici non ancora storicizzati anche per il rock è ancora difficile riuscire a trovare un metro di giudizio oggettivo per giudicare le opere e gli artisti.
Di quanta gente, come per molti artisti del passato, è stata rivalutata l’opera a posteriori?
Velvet Underground, Fifty Foot Hose, Fugs, Replacements, Captain Beefheart, Death, Sonics (non comincio a fare liste adesso perché se no non finiamo più) e quanti ancora sarebbero da riscoprire (sì, anche più di adesso).
Altri invece, grazie alle vendite smodate, hanno dalla loro una maggiore storicizzazione, anche se spesso viziata dall’influenza delle majors sui mass media, e dunque sulla narrazione popolare che viene fatta e della insulse agiografie che costellano il mercato editoriale.
Il fatto che i Bay City Rollers abbiano venduto milioni di album li rendono importanti per la storia del rock? Non vi immaginate quante biografie esistano di questa band, e quanti fan si strappassero i capelli per andarli a vedere spendendo cifre astronomiche. Pensate davvero che questi fan siano scomparsi? Non è affatto così! Non è che ignorando un fenomeno commerciale che esso scompare!
Beyoncé vende milioni di album, gli Strokes pure, senza parlare dei Muse, dei Black Eyed Peas e moltissimi altri gruppi che molti ignorano, o che credevano sarebbero durati un paio di dischi ed invece continuano a vendere milioni di album sfondando record su record.
Ancora mi ricordo quei profeti che dicevano che “Britney Spears non ha contenuti, vedrai che scomparirà, un paio d’anni e nessuno se la cagherà” peccato che il settimo profilo Twitter più seguito AL MONDO sia quello della Spears con 33.761.000 followers. Quindi qualcuno che la valuta ancora c’è.
Come vedete è inutile valutare in modo positivo un artista per l’universalità del suo linguaggio o per il suo successo commerciale. Britney faceva musica di merda e continua a farla. Non è bello da dire, perché così facendo insulto in maniera indiretta chi la ascolta e la ama. Però il 99% di chi ascolta (anche a livello superficiale) rock odia i fenomeni pop in modo del tutto irrazionale.
COMINCIAMO:
I Beatles, come stavo dicendo, hanno venduto moltissimo. È un dato di fatto. È rilevante ai fini di una critica musicale? Sì, ma non così tanto.
Partiamo subito dicendo che i soldi sono indiscutibilmente una delle caratteristiche fondanti per la band. Ringo Starr entrò sotto la pressione di Epstein, non sotto quella degli altri membri della band, e George Martin controllò l’azione creativa della band fino al 1965, ovvero fino a “Rubber Soul”, perfino storici amanti della band come John McMillian ne descrivono le vicende interne come molto conflittuali, ma non per motivi artistici quanto di avarizia.
Fin qui ho detto solo delle ovvietà, e continuerò probabilmente a dirne altre.
Per molti i Beatles sono stati:
- abili mistificatori, bravi solo a seguire le mode e a fornicare groupies stra-bonissime;
- il più grande complesso di sempre, gli anticipatori di tutto, anche della dubstep;
Definire in due modi così diversi una sola band è sintomo di come la critica rock sia ancora agli albori per quanto concerne una scientifica storicizzazione. Da entrambi gli schieramenti ci sono molti critici affermati e tantissimi, troppi, appassionati.
La mole dei fans e degli haters dei quattro di Liverpool è tale da rendere semplicemente impossibile un ragionamento di tipo storico sul web, perché tanto è il cuore che comanda e ci trascina verso il baratro delle pernacchie via email.
È facile infatti trovarsi di fronte a milioni di fan di Piero della Francesca, che vedono nella sua unione ideale tra l’iconografia rinascimentale e la tecnica fiamminga il massimo raggiungimento di un genio (anche teorico), mentre altrettanti milioni lo ritengono sopravvalutato, un conservatore in confronto ad artisti più sperimentali come Paolo Uccello (e anche un po’ borioso).
Sinceramente tutte queste critiche fatte “per passione” trovano il tempo che trovano, e mi procurano solamente un gran mal di testa (altro che quelli di Morgan o degli Windopen).
I Beatles sono stati solamente moda?
No.
I Beatles sono stati i più rivoluzionari?
No.
I Beatles sono stati un avanguardia?
No, cazzo.
I Beatles sono la peggior band del pianeta?
No, no e no cazzo!
I Beatles sono stati una grande band pop! Letto bene? POP! Tutta la musica popolare di massa contemporanea (che forse inizia con la musica folkloristica che con le radio è divenuta di massa) deve la sua struttura musicale, produttiva, distributiva, aziendale e pubblicitaria a quel fenomeno pop che sono stati i Beatles.
La band assimilava gli impulsi dall’America e li trasformava in qualcosa di loro. Prima tramite la grande esperienza di Martin, poi grazie alle doti acquisite da Lennon&McCartney e dalle loro eclettiche passioni musicali che spaziavano da Buddy Holly al blues del Delta.
I Beatles, fino al 1969, non solo assimileranno tanta roba a giro, ma saranno anche quelli che con le loro hit definiranno il sound di una breve epoca. Dal ’67 in poi i Beatles saranno ampiamente superati come fenomeno musicale (ma non come fenomeno di massa), mentre loro traducevano in pop il rock psichedelico le band proto-punk (Troggs, Sonics, Velvet Underground, Stooges, MC5) stavano cominciando ad avere le prime influenze sulla scena internazionale, l’hard rock era ormai prossimo ad affacciarsi, e la psichedelia negli UK invece che trasformarsi nel pop di Sgt. Pepper’s si stava evolvendo nel prog (l’esplosione arriverà nell’anno successivo con Henry Cow, Family, Move e senza considerare gli americani It’s a Beautiful Day, da alcuni considerati come i padrini nobili del progressive rock).
Inoltre dire che all’inizio il fenomeno dei Beatles fosse seguito perlopiù da ragazzini e molte ragazzine quindicenni non è una bestemmia! Ricordo una bellissima testimonianza di Franco Fabbri (musicologo, chitarrista dei mitici Stormy Six) che racconta di come i “duri e puri” all’inizio preferivano gli Shadows ai commerciali Beatles. Anche nel libro che McMillian dedica allo smitizzare certe scemenze sulla biografia dei quattro, si ricorda come nelle prime tournée il pubblico fosse composto al 90% da ragazzine sovreccitate. Questo perché i Beatles nascono come un fenomeno più pop che rock. Non capisco però perché per alcuni questo dovrebbe essere offensivo!
A me piacciono davvero gli album degli Earth, Wind & Fire, se qualcuno mi dice: ma sono fenomeni da baraccone disco-pop! ci sto alla grande, l’importante è che mi piacciano! C’è gente che ti insulta la mamma se gli fai notare che sì: i Beatles sono una band che ha avuto delle grosse influenze sul rock (come su tutta la musica leggera) anche perché vendevano a palate, ma sono una band profondamente pop prima che rock. Qualcuno mi spiega dov’è il problema? Le categorie esistono per un motivo, non solo di semplificazione nell’ambito della divulgazione, ma anche per specificare le declinazioni estetiche.
Un’altra grande dote della band è ovviamente quella di essere riuscita a creare un formato canzone altamente fruibile. Le geniali melodie di Eight Days A Week sono semplici quanto trascinanti per gran parte delle persone. Poi ci sono strani episodi come quello di Taxman l’unica vera canzone politica della band, ma un po’ ridicola nei contenuti. Ricordo a tutti che le lamentele dei quattro non erano mica sulla pressione fiscale che attanagliava gli inglesi, ma su quella che attanagliava loro! Pressione ingiusta, e lo era sì, ma cazzo, se una cosa del genere me l’avesse scritta un Bob Dylan altro che le rappresaglie per la svolta elettrica!
Lo stesso Fabbri che prima ho citato definisce I Feel Fine come “complessa e sorprendente” ma al contrario di qualche sciroccato sa bene che non è un esempio di proto-prog, perché è un dannato musicologo che di rock ne sa e ne ha ben studiato (oltre che ben suonato e dunque masticato).
Ho seguito tantissimi congressi (o volevo dire sedute degli Alcolisti Anonimi? Non ricordo…) e discussioni di esperti impantanarsi su Tomorrow Never Knows. Definirla come la prima canzone psichedelica, solo perché vengono usati degli effetti con una qualità che nessuno si poteva permettere, e perché Ringo la suona “strano-strano” è a dir poco snervante. Sì, la struttura del pezzo propone soluzioni interessanti, ma non è mica l’unico pezzo interessante dei Beatles! Però per definirlo proto-psichedelico ci vuole una fantasia davvero fervida. La psichedelia non è semplicemente uno stile, non è un caso se è esistita una scena texana che è considerata fondante di quella americana e una inglese con componenti sia musicologiche che ci concetto molto diverse tra di loro.
Poi è abbastanza avvilente che canzoni straordinarie come Isolation di John Lennon non vengano riviste dal punto di vista del binomio biografia-artista (qui, una volta tanto, non solo rilevante ma chiave di lettura imprescindibile di uno dei pezzi più autentici della storia di questo musicista), mentre su molte biografie ci sono intere pagine sull’origine di Ob-La-Di, Ob-La-Da.
Dunque.
Grandissima band pop forse la più grande (ma non mi piace fare classifiche), fino al 1969 hanno prodotto un pop-rock da antologia collezionando canzoni allucinanti, battendo record su record e riuscendo a comunicare a tantissime generazioni. Contenuti pochini, perlopiù buonisti – e sui quali si dividerà proprio la coppia d’oro Lennon-McCartney, però siamo lontani da esempi di musica seminale come Bob Dylan, Fugs e Frank Zappa (per dirne tre a caso). Grazie ad uno studio di registrazione, quello sì all’avanguardia, doneranno alla discografia mondiale album di pura perfezione ingegneristica, con effetti e suoni stralunati per l’epoca davvero eclettici. Come ogni band hanno avuto momenti davvero bassi e momenti più alti, ma col merito di essersi sciolti prima che arrivassero album indecenti.
Non hanno inventato tutto, ma nella storia del rock c’è un prima e c’è un dopo i Beatles.