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Hot Lunch – Hot Lunch

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Personalmente sono piuttosto infastidito dalla ricerca convulsiva del low-fi a tutti i costi. Avete presente, no? Migliaia di band che cercano di ricreare un’aura di mistica autenticità nei loro album, sperando che qualche feedback qua e là registrato alla cazzo di cane li renda in qualche modo rilevanti, o quantomeno più autentici della sbobba che passa MTV.

Beh, sull’autenticità di questi Hot Lunch non c’è niente da recriminare, garage e punk diretti allo stomaco sono le fondamenta incorruttibili della buona musica – non che il resto faccia cagare, insomma anche Steve Reich me la alza un casino, ma preferisco decisamente vedere delle chitarre spezzarsi dopo due minuti di spettacolo, piuttosto che sorbirmi due ore di disquisizioni pseudo-intellettuali alla fine di un concerto cervellotico seduto scomodamente in platea.

Quindi sì, ok, è merda autentica, ma c’è anche dell’arte? Insomma, dov’è la Grande Musica Rock dietro tutto questo, dov’è quella realtà fottutamente banale e spesso degradante riscoperta da una nuova prospettiva (avete presente Pere Ubu, Richard Hell, Velvet Underground, Nick Cave, ma anche Mule, Cracker, Soft Boys giusto per non citare sempre i soliti)?

Eccomi qui oggi a presentarvi l’ennesimo album autentico senza un cazzo da dire. Ehi, senza rancore però.

Dato che il low-fi ormai non tira più tanta patata come qualche mesetto fa, gli Hot Lunch si buttano sullo shit-fi (c’è scritto nelle tag della loro pagina su Bandcamp, che dire?). Come suona lo shit-fi? Mah, direi peggio di “Horn the Unicorn” di Ty Segall ma meglio di qualsiasi album di Daniel Johnston.

Chiaramente gli Hot Lunch non hanno pretese (il che va sempre bene, anzi rilancio: non c’è band che abbia enormi pretese artistiche che non faccia assolutamente, obiettivamente e insindacabilmente cagare), bei riff sparati al giusto volume, tutto materiale in linea con la ottima produzione californiana contemporanea, peccato che manchi il genio. O non si è ancora manifestato.

I ragazzi vengono dal florido stato della Pennsylvania, stato che ci ha donato gli osceni Utopia (la feccia del rock per eccellenza) e Will Smith, e ora questa band divertente ma fotocopia di altre diecimila.

La cover di Lovely One, del buon Ty Segall (bel pezzo fra l’altro, uscito nel 2009 nel sottovalutato “Lemons”, anche se preferisco decisamente la versione più grezza contenuta nella raccolta “Singles 2007-2010”), dice già molto sulle radici degli Hot Lunch e sull’importanza sempre maggiore della scena californiana, ma cosa aggiungono di loro?

Qualche traccia più che ascoltabile come Do You Want to Give $$, Ass, Brainfry, ma in sostanza nulla che non si sia già sentito un miliardo di volte. Proprio come Jeffrey Novak e Mikal Cronin anche gli Hot Lunch hanno capito che non c’è necessariamente bisogno di andare verso una direzione più “alta”, quella seguita assiduamente dai Thee Oh Sees di John Dwyer dal 2007 tanto per capirci, ma anche assecondare il mercato pseudo-underground può essere un’idea non troppo disdicevole (e nel caso specifico di Cronin cercando di sbarcare il lunario prostituendosi con il pop-rock vergognoso dell’ultimo album), in soldoni: perché non divertirci e nel caso tirarci sù un po’ di grano?

Niente di immorale o schifoso, sia chiaro, sono assolutamente certo che i più grandi album album punk e rock nascono dalla pazzia, dalla lussuria e in generale da una buona commistione di ignoranza, droghe e ambizione.

Alla fin fine tra Novak e Cronin vi assicuro che l’album d’esordio di questi Hot Lunch è qualcosa di ben più valido, un acquisto che comunque vi intratterrà qualche ora se amate il genere.

Ah, non confondete questa band con l’omonima formazione da San Francisco, astro nascente della label Who can you trust?, la quale annovera anche gli ultimi lavori dei magnifici Zig Zags e degli italianissimi In Zaire. Questi Hot Lunch sono molto più hard e glam rock, ma finora altrettanto banali.

  • Pro: l’album fila liscio senza annoiare eccessivamente.
  • Contro: dopo la seconda volta lo saprete a memoria, e non lo ascolterete mai più.
  • Pezzo consigliato: Brainfry.
  • Voto: 6/10 (il voto è influenzato non poco dal fatto che il download dell’intero album è gratuito dalla loro pagina Bandcamp)
  • Link utili: QUI l’album su Bandcamp, QUI gli “altri” Hot Lunch in una compilation con altre band della Who can you trust?.

E infine il classicone di Reich, che ci sta sempre: