Come se la passa il jazz in Italia?
Dal punto di vista degli strumentisti benissimo, abbiamo degli interpreti di caratura internazionale che fanno invidia alle grandi scuole americane (esattamente come ci invidiano la Pizza e i mandolini) ma forse è sulla sostanza che dovremmo lavorare un po’…
Vi ricordate quando gli album jazz venivano acquistati a anche da chi di jazz non ci acchiappava? O quando quegli stessi album comparivano nelle classifiche delle riviste non specializzate, quando potevi benissimo trovarli a casa del tuo amico che ascoltava solo Led Zeppelin e Pink Floyd? Ecco, le cose so’ due:
- se ricordate tutte quelle robe siete vecchi
- se non le ricordate avete più o meno la mia età (24 anni) e sapete benissimo che il jazz in Italia, ad oggi, è una cosa per pochi, una roba d’élite, e non è una cosa buona.
So che qualcuno leggendomi imputa tale condizione all’analfabetismo musicale dilagante, ma personalmente credo sia una grossa puttanata. Squadra Omega, Architeuthis Rex, La Piramide di Sangue e in generale gran parte dell’esperienza psichedelica occulta italiana dimostra abbondantemente il contrario, un mondo dove jazz, rock, minimal, drone e noise si esprimono senza la ricerca di una maggiore fruibilità (anzi, è proprio la loro natura criptica l’unica chiave di lettura) riuscendo comunque a stanare i fan di Zep e Pink Floyd di cui sopra, ma anche quelli di Sun Ra e Mingus, senza cadere però nell’auto celebrazione.
Ovviamente ci sono le eccezioni. Piero Bittolo Bon, a mio avviso, è tra queste.
Parte di quell’ammasso di genialità senza freni di El Gallo Rojo, Bittolo Bon è il contrario del formalismo e dell’auto celebrazione, ma non è nemmeno un maniaco dell’”inascoltabilità”, di una musica estrema che non lascia via di scampo all’ascoltatore, questo perché il suo jazz è dannatamente ironico, ispirato, gioviale.
Già dal nome del progetto, Jümp The Shark, si capisce come il mondo a cui il sassofonista si riferisce non è così distante dal nostro (noi sfigati che ascoltiamo Ramones e Swell Maps), quel salto dello squalo che è ormai entrato nel linguaggio popolare di chi mastica televisione, e quindi di chi vive anche al di fuori di una torre d’avorio per soli addetti ai lavori, è un sarcastico brücke tra accademia e cultura pop.
Per questo terzo album (“IUVENES DOOM SUMUS”, titolo bellissimo fra l’altro) Bittolo Bon è accompagnato da Gerhard Gschloessl al trombone, dalla chitarra di un grande Domenico Caliri, dal vibrafono “zappiano” di Pasquale Mirra, Danilo Gallo (Guano Padano) al basso e un vivace Federico Scettri alla batteria, un ensemble affiatato e con mille sfumature (anche timbriche), che spazia dal free jazz più esplosivo fino ad una sperimentazione auto-ironica, mai cervellotica eppure di effetto (in questo senso è esilarante quanto interessante Another Venetian Self-Referential Tune).
Sebbene attento all’avanguardia, quella che Bittolo Bon prende in considerazione è la meno scolastica possibile, raggiungendo un sound talmente dinamico e coinvolgente da essere, delle volte, addirittura rock.
Non fraintendete, non intendo dire che in “IUVENES DOOM SUMUS” troverete dei pezzi degli Who o una cover dei Deep Purple, ma che l’approccio musicale è quello di una garage band che vuole prima di tutto divertirsi, anche se qui la questione non è assecondare o osteggiare la British Invasion, ma è assecondare Ornette Coleman e “Cannonball” Adderley, portandoli negli anni ’90 dominati dalla TV e dai giochi a 8-64 bit. È rock come lo intendeva Lester Bangs, musica democratica, e non è un caso se il buon Bangs reputava “dei nostri” pure un certo John Coltrane.
Dopo il folgorante esordio del 2009 “SUGOI SENTAI! GATTAI!!” (con una folle Heavy Metal Miss Jones uscita fuori dal periodo migliore di Zappa) e “OHMLAUT” del 2011, questo “IUVENES DOOM SUMUS” è l’ennesimo passo avanti per Jümp The Shark verso un jazz lontano dalle polverose accademie e dalla seriosità dei “maestri”, verso un’idea di musica che tenendo a distanza le banalità riesce comunque a coinvolgere tutti.
Insomma, potete anche tirarli fuori du spiccioli per ‘sto disco, no?
E per finire, come di consueto, qualche video:
Dal primo album eccovi Interstellar Turkish Kung Fu!
Dal secondo una avvincente Die Teuflische Quinlan (avete notato i riferimenti pop vero? VERO?)
E il promo dell’album:
Eeeee ultimo ma non ultimo…
Un breve ringraziamento è quantomeno dovuto a Alessandra Trevisan, che è stata davvero gentile a riempirmi di materiale su Piero Bittolo Bon e sul mondo attorno a lui. Ed io la ripago con questa recensione di due righe in croce. Che galantuomo.