È la prima volta che torno su una recensione ma non sarà di certo l’ultima.
“Tomorrow’s Harvest” è considerato quasi all’unanimità come uno degli album più belli di questo 2013. Quando l’ho recensito a Settembre (trattandolo malino e dandogli un simpatico 6/10) era uscito da credo meno di un mese, ma dato che tutti me ne avevano parlato con toni decisamente entusiastici l’avevo comprato in tempi record.
A me l’elettronica non mi ha mai fatto impazzire, questo è vero, in generale sono rimasto un po’ indietro almeno con i punti di riferimento. I miei album preferiti sono quelli di Schulze e dei Tangerine Dream, non so nemmeno se si possa considerare prettamente elettronica “Autobahn” dei Kraftwerk o “The Journey” dei Kingdome Come di Arthur Brown, però quella roba mi sfizia abbastanza.
I Boards sono diventati un nome nel 2002 con “Geogaddi”, un disco che mi sono ritrovato quasi inspiegabilmente tra le mani verso i quindi anni e che ho odiato con tutto me stesso. Riascoltandolo quest’anno in un percorso di riscoperta musicale, legato certamente al fatto che non ho una lira in tasca e quindi mi tocca rispolverare anche quei CD o LP rinnegati tempo addietro, mi sono dovuto decisamente ricredere sul valore musicale e tecnico dei due fratelli scozzesi, ma non sulle impressioni personali.
I Boards sono bravi, ovvio, fin qui ci arriva anche un critico del Buscadero, ma toccano delle corde ben precise che ha me, evidentemente, non dicono niente. Un mio collega all’Uni era allibito dalla mia impressione negativa di Tomorrow’s, dicendomi che quando lui ascoltava i brevi ambienti elettronici di quell’album addirittura si commuoveva.
Sì, ok, c’è gente che si commuove ascoltando Lady Gaga, ok, ma il tipo in questione è uno a posto, e così da Settembre a oggi il disco che ho più riascoltato è stato certamente Tomorrow’s. La mia ragazza lo adora, mia madre lo apprezza, ai miei fratelli fa cagà (ma loro ascoltano solo Led Zeppelin et similia), mio padre lo ignora. Io sono l’unico eternamente combattuto tra il riconoscere una ricerca musicale che trovo squisita e la mia una totale impassibilità emotiva.
Oddio, questa re-review non è per niente una re-review! Avrei potuto cercare di recensire alcuni dei migliori dischi usciti quest’anno, tipo “Silence Yourself” dei Savages o “Light Up Gold” dei Parquet Courts, e invece sono qui a cercare di capire perché “Tomorrow’s Harvest” non mi dice niente. E lo faccio pure male.
Come posso criticare oggettivamente un disco bello ma che non mi piace? L’unico modo che ho per farlo è dargli la sufficienza e rimandarlo a chi piace l’ambient, a chi adora gli Autechre e i Fuck Buttons, a chi ama spaziare tra le lande desolate di un sintetizzatore. Quello che trattano i Boards Of Canada è una sorta di anti-kosmic rock, immergendoci in uno spazio decisamente all’opposto dell’altrettanto freddo e distante proposto in “Alpha Centauri” (1971) dei Tangerine Dream, ma tragicamente pessimista e apocalittico, ormai liberatosi dal retaggio di colonna sonora per science-fiction e anche dalla sua dimensione intellettuale alla Eno, è una elettronica che più moderna di così non si può.
Tanto di cappello al duo scozzese, peccato che con quei venti euro mi ci potevo comprare un bel disco dei Nazz, porcodemonio.
- Pro: probabilmente una delle cose migliori dell’elettronica contemporanea.
- Contro: tremendamente simile a “Geogaddi” e anche meno interessante.
- Pezzo consigliato: è uno di quegli album che va ascoltato dal momento in cui la puntina si posa sul bordo, lasciandola scivolare assieme all’immaginazione.
- Voto: 6,5/10
Io fuggo a Carloforte col mio miglior amico, quindi se non rispondo ai vostri insulti fino al 6 Gennaio sono giustificato.
Non c’entra niente ma chissene.