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Squadra Omega – Squadra Omega

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Quando nel 2009 ascoltai “Rennes Le Chateau” non sapevo chi fossero la Squadra Omega, non sapevo dell’esistenza della psichedelia occulta (e forse nemmeno lei sapeva di esistere ancora), ma non potei comunque non amarli.

In Italia più o meno cinque anni fa c’era una valida scena shoegaze, almeno per i critici e gli appassionati, band come Klimt 1918 e Arctic Plateau tiravano davvero tanto, ma all’epoca non mi interessava il genere, ricordo solo dei vaghi e annoiati ascolti, nulla di più. Se c’era una roba che mi sconfinferava intorno al 2009 era il kraut rock. Dopo il prog canterburyano e quello italiano, ineluttabile come la spada di Damocle mi colpì il kraut, tra capo e collo, con quei ritmi martellanti, le progressioni cosmiche, le campionature improbabili dei Faust, quella musica così universale. Tra le altre cose scoprì anche Squadra Omega.

Mi sembrava la cosa più kraut che avessi mai sentito in Italia, con quella sperimentazione ordinata anche quando sembrava un vero baccanale. Però era solo un breve EP “Rennes Le Chateau”, e tra EP e mini-album dovetti aspettare fino al 2012 per avere un cristo di disco.

Ma poi a voi che cazzo vi frega delle mie paturnie, ora che ci penso… Boh, immagino sia un modo come un altro di scrivere una recensione. Dite che dovrei cominciare a pensarci prima di scrivere? Eeeeh, però sai che fatica. Meglio così. A braccio. Come viene viene. Poi la rileggo, ci inserisco le immagini, ci metto qualche citazione se è il caso (melius abundare quam deficere) e poi la posto senza rimorsi. O quasi.

Ok, torniamo a noi. Nel 2008 esce – gratuitamente – “Tenebroso”, un mp3 live di un jazz rock pesantemente lisergico (ma mica anarchico alla Harsh Toke, è tutto molto controllato, tutto maledettamente ordinato) e chiunque lo abbia ascoltato lo ama a dismisura. C’è poco da fare, non puoi mica resistere, anche perché l’energia live della band è conturbante e la sinergia tra i musicisti è affascinante, ascoltandoli sembra proprio che non possano fare altro se non quello.

Il loro «assalto frontale» questa musica «from the third eye» citando il regista indie M.A. Litter, convince appieno. Giusto per non smentire la buona nomea delle band psichedeliche kraut anche loro sono muniti di nomi criptici, tipo OmegaG8, OmegaKakka, Omega4stagioni e così via. Diciamo solo che sono un ensemble di cinque elementi (che io sappia) che tra sfiatate di sax, chitarra distorta e il ritmo martellante della batteria sono la band dal vivo più potente che in questo momento solchi i palchi italiani. Tanto vi basti.

Squadra Omega è il frutto incestuoso di parecchie band, delle quali ne conosco solo due: The Mojomatics e Movie Star Junkies. Entrambe, sempre nel periodo delle band shoegaze italiane che vi dicevo prima, suonavano folk e blues in chiave alternative rock. Sebbene il plauso della critica a me fanno scendere parecchio le palle, ma dato che a molti sono  piaciute almeno una passata su YouTube fatevela, inoltre credo che alcune (le altre sono With Love, Be Maledetto Now!, Be Invisible Now!, Apoteosi del Mistero e The Intelligence) siano ancora in attività.

Se ci sono delle date nelle uscite degli album che non vi tornano fatemelo sapere nei commenti, secondo la pagina Facebook (che vi linkerò in fondo all’articolo) della band è tutto uscito tra il 2009 e il 2011, ma il resto di internet non è d’accordo e io sono troppo poco professionale per farlo per voi.

Sebbene nella suddetta pagina Facebook esca nel 2010, per la Boring Machines che li produce esce nel 2011 “Squadra Omega” il cd self title che manda in sollucheri chi aspettava con ansia un disco con tutti i crismi.

Sebbene momenti felicissimi, come nell’egiziana fuga psichedelica di Hemen! Hetan! – Hemen! Hetan!, manca il mordente delle focose prestazioni live, la furia ancestrale che muove i fili della band. Senza nulla togliere ai magniloquenti 16 minuti e mezzo di Murder In The Mountains, che fa piangere d’invidia tutta la scena psych (con qualunque accezione, doom, metal, garage,…) americana e europea, va detto che è nella dimensione live che Squadra Omega esprime tutte le sue potenzialità, insomma dal vivo manco sanno che cazzo andranno a suonare cinque minuti prima si salire sul palco.

Al contrario di band come La Piramide Di Sangue e di Architeuthis Rex manca un collante che dia a questa meravigliosa forma una sostanza. Certo, fa figo da morire dire che la tua musica è:

Spaceage Cubist-Free-Jazz clashes with Pygmy-Percussion-No Wave-Kraut Rock causing a sonic fusion leading to a complete derangement of the senses, an assault on the frontal lobe and permanent hallucination. This is music from the third eye.

Sì, ma che cazzo vuol dire? Poco. Personalmente non sono un sostenitore della psichedelia fine a stessa, band come Acid Mothers Temple mi annoiano a morte, però Squadra Omega ha qualcosa in più, ha una vivacità e un retrogusto mediterraneo che si sposa meglio con un’idea di un rock criptico, misterioso, ancestrale. Lo provano senza ombra di dubbio le ermetiche Hemen! Hetan! – Hemen! Hetan! e Ermete (con un finale alla Hawkwind davvero eccelso).

Ragazzi, siamo sulle frequenze dell’irraggiungibile Sun Ra e della sua Arkestra, ma Sun Ra la sua filosofia cosmica l’ha espressa compiutamente negli anni ’50, cosa c’è da aggiungere o aggiornare?

Detto questo è difficile non inebriarsi della musica prodotta da questa band italiana. Del lotto “Nozze Chimiche”, il 10 pollici uscito nel 2011 e finora la loro ultima fatica (che io sappia c’è solo una live che non ho ancora trovato), ed è un passo indietro. Ci sono echi di alternative rock (Copper), un kraut folk ipnotico magistrale (Murder in the Country) però il risultato finale mi sembra meno compatto di “Squadra Omega”, come se fosse un collage di idee scartate.

Insomma ragazzi, questa è una grande band, di quelle che tra trent’anni ricorderemo sbeffeggiando quelle dei ggiovani.


Beh, dopo la recensione di Architeuthis Rex mi sono un po’ scrollato di dosso la paura di non riuscire a recensire della musica, a mio avviso, più alta del solito. Certo, faccio schifo come prima, ma perlomeno parlo di altre cose invece del solito cazzo di garage rock. Grazie per la pazienza.

  • Link utili a voi navigatori del web: se volete spulciare sulla pagina Facebook della band cliccate QUI, se invece volete ascoltare l’album in questione (dato che, fra le altre cose, ne parlo solo in due righe) cliccate con decisione QUI.

Potevano mancare i video?

Qui il secondo cd live di una edizione (quale?) del s/t:

La tragicommedia di Kasabian e Black Keys

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È incredibile come si perseveri nel coltivare il cattivo gusto. Perché ad un certo punto l’oggettività perde di significato, l’onestà intellettuale sprofonda dietro tecnicismi (sia di scrittura da parte dei critici che musicali) e si arriva ad accettare tutto passivamente.

Gran parte del rock che viene prodotto su scala mondiale oggi trova dei fruitori appassionati praticamente ovunque, grazie a quel marchingegno luciferino di internet. INTERNET! Lo spauracchio dell’industria musicale! INTERNET! Il terrore che naviga su fibre ottiche! INTERNET! La gioia di poter trovare porno per tutte le stagioni e band per tutti i gusti!

Oggi più che mai il ruolo del critico è necessario, ma oggi più che mai il critico è inutile. Perché esiste questa contraddizione? 

La moltitudine di musica che si può ascoltare da YouTube e dai siti streaming spaventerebbe anche il più hungry degli  appassionati (o il più foolish, ma l’unione delle due cose non fa un CEO di fama mondiale semmai un eroinomane) e delle volte riuscire ad orientarsi di fronte a cotanta offerta non è facile. Allo stesso tempo se ti spunta sotto gli occhi il nome di una band che non avevi mai immaginato che potesse esistere, perché perdere tempo per capire se possa piacerti tramite il giudizio del critico di fiducia se puoi ascoltarli gratis subito?

Ma per quale cavolo di motivo il mestiere del critico è diventato “consigliere della corte regale di Tal dei Tali”? Quello lo faccio io, che ho un blog del cazzo e mi permetto anche di insultare penne di “spessore” come Zingales (ma perché sono un cojone, mentre lui è solo una notevole ciofeca), ma il critico vero, leggasi anche “quelli che scrivono su Blow Up”, non è solo un fido amico a cui chiedi un bel disco per sconquassarti le budella, è un tipo che ha studiato e si è fatto il culo per spiegarti che non sono solo rumori e suoni casuali quelli che escono dalle casse del tuo stereo (o dalle cuffie attaccate al tuo lettore mp3 del cazzo).

Ma che c’entrano Kasabian e Black Keys? Ma la controversia è proprio lì! Due band discrete che troneggiano nei social, su YouTube, e anche nelle riviste che dovrebbero essere l’ultimo baluardo contro la mediocrizzazione (newspeak in libertà) del giudizio. Io m’incazzo quando sono tutti d’accordo, c’è poco da fare.

Sui Black Keys ci spendo di quando in quando due parole, e se le spendo è perché la band mi piaceva e non poco. Ma quando mi sento dire che il salto che c’è tra un “Rubber Factory” (2004) e un “El Camino” (2011) è un evidente segno della maturazione della band io sbarello. Ma come cazzo si può dire che dalla rabbia e dal furore di Grown So Ugly o dal riff di 10 A.M. Automatic una band si evolve con la struttura che urla BANALITÀ da ogni decibel di Little Black Submarine, o quella nenia preconfezionata per MTV di Gold on the Ceiling? Una volta la critica rock bastonava queste stronzate, oggi le appoggia, perché oggi fruibilità è sinonimo di qualità. Puttanate.

Black-Keys

E i Kasabian? Mi dite per piacere quali sono i punti di contatto tra il primo album di Tom Meighan e Sergio Pizzorno e uno qualunque degli Oasis? Questo lo chiedo perché da anni ci fracassano i coglioni con questo paragone costante tra Oasis-Kasabian che sta in piedi giusto giusto per qualche pezzo di “Empire” (2006) e poi crolla ineluttabilmente. Sarà che tutti sanno che le due band si ammirano a vicenda e critici stanchi del proprio lavoro invece che ascoltare con cognizione di causa “Kasabian” (2004) hanno buttato lì due stronzate?

Ma ve lo ricordate “Kasabian”? Un album commerciale, certamente, ma dignitoso, con una ricerca nel sound interessante, naturalmente scontata e banale ma quantomeno personale. Reason Is Treason era un pezzo con i coglioni (ancora di più nella versione “nascosta” dopo U Boat), ma anche i suoni sporchi di Club Foot erano accattivanti. Un album quadrato, tutto d’un pezzo, con una estetica ben definita. 

Poi la rivoluzione, un “Empire” acido, a tratti addirittura acustico, con la sofferta progressione di The Doberman, che qualcuno dovrebbe spiegarmi perchè non vale mille volte la più banale e ridicola Little Black Submarine dei Keys. Ma anche la malinconica British Legion, molto Oasis negli intenti, risulta infine ben più intima di qualunque pezzo degli Oasis, molto più autentica perché meno elaborata. 

Oggi queste due band sono quanto di più lontano dall’interessante ci sia nel mondo musicale. È una tragicommedia quella di Kasabian e Black Keys, schiavi della propria immagine, profondi come una pozzanghera, merce di scambio nel flusso continuo di dati pirata.

Fever da “Turn Blue” (2014), ultima fatica dei Black Keys, è un prodotto che in una rivista seria di rock underground non verrebbe nemmeno nominato, i critici dicono che in questo album non ci sono le hit del precedente per scelta, ma non capiscono che è solamente il prodotto ad essere ancora più mediocre del precedente. Forse mi sto lasciando trasportare eccessivamente direte voi, può darsi, ma il rock psichedelico di Bullet In The Brain vale davvero di più degli Harsh Toke? Voi mi direte, giustamente, che sono band con intenti diversi, ma sempre di rock si parla, e la psichedelia con tanto di riferimenti agli anni ’70 ci sono, e allora perché Rumore non mette in prima pagina band dello stesso genere dei Keys ma con qualcosa da dire?

La cosa bella è che album come “Turn Blue” o “48:13” (2014) dei Kasabian, sono album che non dicono un bel niente, è la solita musica che non cerca qualcosa di più alto del solito riff, di una melodia d’effetto o anche di stupire tecnicamente il musicista in ascolto. 

Oggi più che mai riprendere gli anni ’70 per dire qualcos’altro è attuale, il Sun Ra ripreso da alcune band psichedeliche italiane si combina perfettamente con il mercato di Porta Palazzo (li nomino sempre ma non li recensisco mai, prometto che presto mi rimetterò in pari con La Piramide Di Sangue), il Syd Barrett dei Thee Oh Sees svela paranoie o annebbia i sensi di una società in crisi non solo economica, c’è la rabbia borghese di Ty Segall, il punk pop nevrotico di Jay Reatard così autentico, i riff post-apocalittici degli Zig Zags che riprendono le immagini di Carpenter e il Neil Marshall di Doomsday senza citarli direttamente, questo è grande rock, quello che dovrebbe sostare in quelle riviste e in quelle librerie di iTunes o playlist di YouTube di chi si dà un tono, di chi “ascolto rock”.

Il rock è un modo diverso di vedere le cose di tutti i giorni e riscoprile di nuovo, non la costante ricerca di una invenzione melodica, tecnica, linguistica o banalità del genere.