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The Rolling Stones – Tattoo You

Rolling Stones

“Tatto You” non è stato semplicemente un fottuto disco di rock and roll, è stato l’ultimo album rock degno di questo nome. Da allora si è vista tanta roba, ma il rock classico finisce nel 1981 con questa bellezza (o cagata assoluta, dipende dai gusti). [aggiunta 08/11/14: sì, ho scritto una puttanata micidiale, però ogni tanto ci vuole, almeno per ricordarci che il genepì a colazione non fa bene]

In “Tattoo You” non ci sono capolavori come Street Fighting Man, non c’è Paint It Black, non c’è la bellissima Stray Cat Blues, c’è solo un ritorno ad un sound più puro, più semplice, più blues e a volte semplicemente molto Rolling Stones.

Se vi dicono che i Rolling Stones hanno fatto la loro fortuna sulle spalle dei grandi del blues, passando senza ritegno da Robert Johnson a Muddy Waters, beh, hanno ragione da vendere, ma questi ragazzi bianchi hanno preso quanto c’era di importante in quelle note ispirate da Dio (anche se Lester Bangs direbbe «da Satana») e l’hanno portato da noi lasciando che potessimo cibarcene.

Il blues (sopratutto nella sua accezione rock) è una musica che parla alle budella, non alla testa. È inutile che vi infangate con roba tipo John Zorn o Nico, a che vi serve se prima non avete assaporato quella musica da cui tutto, volente o nolente, proviene.

Se credete di parlare di roba “alta” concedendovi un chiacchierata su Led Zeppelin, Deep Purple o Rolling Stones siete proprio fuori strada. Non era di certo musica per i palati fini quella, non è fatta per riflettere troppo, quel momento di psichedelia di Whole Lotta Love che poi esplode nelle mani di Bonham che ci fa tornare nella realtà non serve per poter concentrarci meglio verso le derive esistenzialiste di Céline, e di certo la suadente progressione di As The Sun Still Burns Away dei Ten Years After non è concepita per una serata accompagnata da una gara di sonetti improvvisati tra amici.

Quello che facevano tanto tempo fa i Rolling Stones era mettere lì un paio di note una dietro l’altra e farti balzare dalla sedia come un pischello. Tutto tranne che la miglior band rock di sempre, anche se sono sempre restio nel dare delle classifiche, chi vi fa credere che esiste un metro di giudizio oggettivo nella musica rock probabilmente è un flippato che crede che pure le feci di Frank Zappa su un piatto suonino divinamente.

Tattoo You

Ovviamente registrato sotto la Rolling Stones Records, il disco è un mix perverso di pezzi tirati a caso tra jam session e registrazioni di altri album, il tutto ben confezionato da esperti di marketing e da un grandissimo copertinista come Peter Corriston.
Non c’è molto da dire su questo album, perché và ascoltato senza pretese e senza alcuna guida, lasciandosi trasportare.

Start Me Up fu un grande successo pure come 45 giri, le radio in tutto il mondo l’hanno mandata per anni, e ancora oggi il suo riff fa la sua porca figura. Una vitalità così in un disco rock raramente si ripresenterà.

Con Hang Fire si capisce subito che i Rolling Stones volano basso, che gliene frega a loro? Non percepite come hanno ormai appreso quello che serve? Come non si può almeno rimanere basiti dalla facilità con cui gli Stones ormai padroneggiano questo linguaggio musicale? Al di là dei meriti, sappiamo bene tutti che i Rolling Stones non valgono una gamba di band come gli Who o i Soft Machine, ma non stiamo parlando di roba così, parliamo di qualcosa in basso, ma non per questo meno apprezzabile.

Slave per me è meglio di un orgasmo. Sei minuti e mezzo in cui la linea di basso e la batteria vanno avanti imperterriti, Richards ogni tanto lo perdiamo per strada, Jagger insieme a Pete Townsend (che ci fa non lo so) si fa capo corista di un gospel scarno, senza profondità, senza poesia, al sassofono Theodore Walter “Sonny” Rollins mi fa sognare, seguo le note fino all’ultimo, e mentre il fruscio del vinile prende il loro posto sono ancora estasiato.

Little T & A è il pezzo più bello disco, semplice, rock, Keith Richards canta una folle cavalcata rock and roll che nel 1981 sta per diventare, di punto in bianco, tragicamente anacronistica (pezzo che la fa la sua porca figura anche in Argo, l’ultimo film di Affleck).

Conferma il trend, in chiave molto più nera, Black Limousine,  un tripudio di scontatezze certamente, ma in grande stile. Una goduria per uno schifoso masticatore di blues.

Neighbours è stato un pezzo abbastanza fortunato degli Stones, il che non è poco considerano la loro sterminata produzione di singoli di successo. Si torna ad un sound più moderno, un sound che caratterizza i Rolling Stones nel periodo di passaggio tra i ’70 e gli ’80.

“Stu” si fa sentire con quel soffice tocco d’organo di Worried About You, Jagger si lascia andare completamente e tocca tutte le sue corde, dall’incantatore di Angie al ruggito di Satisfaction.

Tops è l’ennesimo pezzo effimero e perfetto, incastonato in un disco che suona da solo, una volta preso il via i Rolling Stones sono andati dritto per dritto. I cori, fra l’altro, mi ricordano qualcosa dei bravi MGMT.

Heaven ripropone invece quelle atmosfere pseudo-psichedeliche che secondo me non hanno mai trovato motivo di esistere nella discografia dei Rolling Stones.

No Use In Crying riporta sui binari giusti la discussione. Dopo un minuto e mezzo Jagger trasforma questa semplicissima linea melodica in uno dei pezzi più ispirati della lunga carriera di questa band.

Il disco si conclude con Waiting On A Friend, uno sguardo verso questi ottanta che sono arrivati, e nei quali i Rolling Stones resteranno poco più che delle macchiette di loro stessi, come è in fondo tutt’ora.

Per me questo è il disco che segna il passaggio, il rock dei cosiddetti dinosauri è finito, non resta che qualche rimasuglio qua e là in queste tracce del 1981.

  • Pro: blues-rock d’annata, l’ultimo disco dei Rolling Stones (ascoltabile).
  • Contro: per i miei gusti troppe ballate, e Heaven non sa davvero di niente, ma proprio di nulla assoluto. Lato A tre volte più interessante del lato B.
  • Pezzo Consigliato: Little T & A è una chicca, rock and roll vecchia maniera, spensierato e senza pretese.
  • Voto: 6/10