Secondo disco di questa mia personalissima trilogia californiana punk anni ’80. Ricordo ai cagacazzo e ai precisini di ‘sta grandissima ceppa che non sono gli album più importanti o quelli fondamentali, ma quelli che a me me la alzano di più. Semplice, lineare e schifosamente soggettivo. OK?
Come dicevo anche per gli Alley Cats siamo in una dimensione punk più vicina a Patti Smith che agli Stooges, e la presenza carismatica di Exene Cervenka lo prova ancora più. Se la Dianne Chai era calata nella dimensione pessimistica degli Alley Cats, la Cervenka dal canto suo è la nuova poetessa maledetta del punk, più arrabbiata e meno raffinata di chi l’ha preceduta.
Sebbene preceda solo di un paio d’anni “Escape From The Planet Earth” (The Alley Cats, 1982) il punk degli X è davvero diverso.
L’alienazione che si prova ascoltando il secondo album degli Alley qui scompare, la rivalsa sociale dei giovani oppressi dalla nuova società industriale trova sfogo in questo frizzante beach punk. Sebbene a mio avviso sia il sotto-genere col nome più idiota di sempre, spacca decisamente i culi.
Come una band di reietti bipolari gli X guardavano al rockabilly anni ’50-’60 come ai Doors, la decadenza di Jim Morrison assieme alla sua decantazione intellettuale (Patti Smith) trovano così un raccordo riuscitissimo con l’infiammata chitarra di Chuck Berry. Dai cazzo, ditemi che non prende bene solo a leggerla ‘sta roba!
Per vostra fortuna è molto meglio ascoltarli gli X.
La band si fondava principalmente sulla voce della Cervenka e quella sporadica del suo bassista (e se non ricordo male anche marito) John Doe (un nome che negli USA si utilizza per quelle persone che giuridicamente nascondo la propria identità reale, o per nominare quelle tombe abitate da scorbutici sconosciuti), un ritmo indiavolato, riff brevi, intensi e geniali e una autenticità spaventosa.
Sono così pochi gli album così punk!
Per quando la band sia convinta che il terzo album, “Under the Big Black Sun” (1982), sia in assoluto il più riuscito, credo sia inutile farvi notare come la rivoluzione dei X sia cominciata con “Los Angeles” il loro esplosivo esordio.
Rivoluzione sì, perché mentre Richard Hell aveva teorizzato il nuovo punk (quella che sarà chiamata new wave) gli X lo rimodellano a loro immagine e somiglianza, con testi che invece di fare dell’introspezione sulla generazione vuota (sì ok, vuota ma da riempire, bravi avete letto l’intervista di Lester Bangs a Hell, siete proprio dei figoni del cazzo) o immaginare una fuga dal nostro pianeta di fango e merda proposta dagli Alley Cats, qui c’è una visione reale della società moderna vista da dei bravi ragazzi californiani, stufi della merda ma che la accettano per quella che è.
Hell fa del punk una filosofia, gli Alley Cats ne fanno misantropia, gli X s’incazzano come delle belve e basta.
Ma una nota che impreziosisce in modo ancora più allucinante questo già tosto album è la produzione di Ray Manzarek. Il mitico tastierista dei Doors viene spesso etichettato come un musicista molto sopravalutato. Che coglionata. Manzarek oltre a produrre questa bellezza suona col suo vecchio hammond, e che robette acide e punk ci tira fuori ‘sto povero sopravvalutato nemmeno non ve lo immaginate.
I pezzi che compongono questo capolavoro sono tutti geniali, uniti da un sound molto preciso (beach punk, che nome di merda…) ma senza mai ridondare, cazzo: sono nove gemme punk tutte di alto livello!
Si parte fortissimo con Your Phone’s Off The Hook, But You’re Not, a cui segue il celebre attacco alla Chuck Berry che introduce a Johnny Hit And Run Paulene, subito dopo una versione irriconoscibile di Soul Kitchen dei Doors, e chissene sei già saturo dalla troppa roba buona, perché il riff bestiale di Nausea, con quelle incursioni strazianti e orgasmiche dell’organo di Manzarek, te la fa rialzare subito. Sveglia amico, stai ascoltando un fottuto capolavoro!
Cosa c’è di più perfetto di una Los Angeles con un testo così:
all her toys wore out in black and her boys had too
she started to hate every nigger and jew
every mexican that gave her lotta shit
every homosexual and the idle rich
Cosa ti foga di più del ritmo punk di Sex And Dying In High Society, abbastanza anni ’80 da non sfigurare neanche in una radio di GTA Vice City?
Cosa ti attizza di più del l’irreprensibile riff di The Unheard Music, malinconica senza scassare i coglioni?
E la sapete qual’è la cosa più bella? Che anche i due album seguenti sono splendidi.
- Pro: capolavoro del punk, un disco imprescindibile per gli amanti e per chi vuole farsi una cultura su questo genere.
- Contro: dura solo 27 minuti.
- Pezzo consigliato: Los Angeles.
- Voto: 8/10