Sì, Jenna Ortega non solo già conosceva i Cramps, ma li aveva proprio in playlist mentre Tim Burton proponeva Goo Goo Muck per la scena del ballo scolastico nel quarto episodio della serie “Wednesday”. I Cramps sono una della band più adorate dai perdenti di tutti i tempi, forse una delle più efficaci rappresentazioni delle origini della cultura goth, non solo per i look esagerati di Lux Interior e Poison Ivy, ma sopratutto per quell’atteggiamento nerd e goffo che caratterizzava le prime espressioni di questo movimento culturale… passatista! Beh, sì, perché come ogni nerd che si rispetti la cultura goth si basa su fumetti, giochi e film sconosciuti ai più, tutti dai gloriosi anni cinquanta.
Non è una guida esaustiva, non è neanche un’introduzione, è giusto un mettere l’accento su delle declinazioni del garage e delle sue potenzialità espresse nel corso dei decenni.
Questa è una domanda che nessuno cerca mai di porvi, perché la sua scomodità è intrinseca nelle fragili fondamenta della storiografia rock, ancora priva di una visione storicizzata e di una estetica completamente codificata.
Naturalmente non troverete la risposta in questo blog (ma nemmeno in quello di Cilìa o di Guglielmi che al contrario di me sono gente che ne sa a pacchi), perchè chi vi vende questo genere di risposte è un dannato mentecatto.
Come si fa a storicizzare un genere musicale di cui l’inventore (non l’unico ma il più famoso), Chuck Berry, è ancora in vita?
Però è altrettanto vero che ci sono degli eventi che hanno cambiato radicalmente il modo di fare rock, o lo hanno influenzato o in certi casi lo hanno demolito. Bisognerebbe partire da questi eventi (album, live, festival, eventi politici, etc…) per capire quali sono state le tappe fondamentali del rock. Andrebbero però contestualizzati, perché per quanto l’influenza dei Bay City Rollers, dei Kiss o degli Slade sia innegabile la loro validità in campo musicale è quantomeno opinabile.
Captain Beefheart ha influenzato più generazioni e diversi generi rappresentati da band dal valore assoluto (Pere Ubu, Mule, Minutemen, Residents, devo continuare?), Syd Barrett è il padrino di tutta la scena garage californiana contemporanea, “Metal Machine Music” ci ha donato tra le altre cose i Sonic Youth, mentre i Led Zeppelin oggi ci lasciano in eredità schifezze come i Them Crooked Vultures,i ridondanti Dirty Streets e gli atroci The Answer. Anche queste cose vanno considerate.
Oggi mi piacerebbe valutare due album che per me sono entrambi dei capolavori assoluti ma per motivi diversi. Parlo di “Here Are The Sonics!!!” (1965) e “Songs the Lord Taught Us” (1980).
Quando nel 1965 uscì l’album d’esordio dei Sonics non c’è stato uno sconvolgimento nel rock, la gente non si è riversata nelle strade chiedendo a gran voce che venissero stampate più copie di quel monolite del rock di tutti i tempi, macché, i Sonics hanno vissuto nell’indifferenza più assoluta fino all’avvento dei primi revival garagisti.
La lezione di “Here Are The Sonics!!!” è arrivata in ritardo perché troppo avanti coi tempi. Sebbene siano più celebri Kingsmen e Wailers come band degli albori del garage rock, il casino immondo che scaturisce dalle casse quando metti sul piatto questo album non è comparabile a nessun album rock mai pubblicato.
La prima cosa che colpisce, dopo il wall of sound che fa sembrare i Troggs una band di christian rock, è la voce, anzi: le urla assatanate di Gerry Roslie, il cantante più seducente e potente che abbia mai sbraitato qualcosa al microfono, facendo arrossire McCartney e Lennon con i loro fievoli gemiti, rendendo anche uno sguaiato Steve Marriott poco più di un languido cantautore folk del Greenwich Village.
Il sound è irriverente all’inverosimile, quanto di più “rock” intenso nella sua forma più pura ci sia dato di immaginare. I pezzi sono quasi tutte cover, rese con una furia mai sentita prima, ma la libidine si scatena con i pezzi originali:The Witch ha un riff che da solo fa fuori intere discografie garage, Psycho è in controtendenza con qualsiasi regola musicale, lasciando la tensione e il ritmo sempre altissimi, e riuscendo comunque a far confluire litri disangue alle zone pelviche per tutti i suoi 2 minuti e 17 secondi, Strychnine è un pezzo che basta ascoltarlo una volta per cogliere tutta la sua magnificenza e potenza, meraviglioso Roslie che urlando come un pazzo per tutto il pezzo alla fine si lascia andare ad un inno punk ante-litteram da pelle d’oca.
L’influenza di questo album è stata devastante, difficile immaginarsi il revival garage degli anni ’80 senza i Sonics, come è altrettanto improbabile parlare oggi di garage californiano senza prendere in considerazione “Here Are The Sonics!!!”, i suoi pezzi originali sono i più coverizzati assoluto insieme a Gloria dei Them. Prima di Stooges, di Velvet Underground, prima dei Ramones, prima di chiunque, i Sonics sono il rock.
Passiamo ai Cramps di “Songs the Lord Taught Us”, un altro capolavoro sicuramente, forse meno influente e certamente meno “visionario” dell’esordio dei Sonics.
I Cramps mi mettono sempre un po’ in difficoltà, perché soggettivamente mi fanno impazzire, i loro album li ascolto sempre dalla prima all’ultima traccia mantenendo un hype al limite del lisergico, ma oggettivamente si può dire che quell’album del 1980 è un capolavoro per il rock? In fondo cosa ha lasciato se non una breve moda (lo psychobilly o voodoobilly o come cazzo vi pare) ormai morta e sepolta?
Credo che l’immensità dei Cramps si riduca alla straordinaria potenza espressiva, dato che le loro capacità tecniche sono tutt’altro che immense hanno ripiegato su qualcos’altro. Come si può evincere dal titolo i Cramps si rifanno agli insegnamenti del primo rock, il mitico rockabilly, alle sue scalmanate feste alcoliche, al sesso e alla furia live che funge alla completa catarsi tra pubblico e musicista (o sciamano a questo punto).
I Cramps amano l’esagerazione, la teatralità raffazzonata di Screaming Lord Sutch, i riverberi alla chitarra stile surf rock, le distorsioni e i ritmi tribali, senza la presenza di un basso la sezione ritmica si fa meno corposa ma accentua la su aura “sciamanica”.
Se i Pere Ubu per spiegare l’alienazione devono rifarsi ad una retorica letteraria e teatrale non indifferenze (coadiuvata da un sound e da una esecuzione quasi del tutto originale) i Cramps invece zombizzano Elvis (Fever) e i reietti (Garbage Man), mentre gli Alley Cats volevano fuggire da questo mondo che li imprigionava i Cramps lo demoliscono con una satira nera e una visione decisamente grottesca e gotica. La crisi d’identità dell’uomo nell’età industriale non era motivo di riflessioni filosofiche (new wave) o di depressione (il punk e il post-punk di stampo gotico), bisogna invece ballare sulle macerie di questa corrotta società finché il sangue caldo ci scorre nelle vene.
La loro cover di Strychnine dei Sonics disvela l’abisso tra gli anni ’60 e i prossimi ’80, alla rabbia si sostituisce il grottesco, alle urla potenti di Roslie si sostituiscono i rantoli e i gridolini isterici di Lux Interior, alla chitarra devastante di Larry Parypa i Cramps preferiscono le note scarne di Poison Ivy Rorschach, al ritmo infernale di Bob Bennett alle pelli c’è li compatto (e volutamente sconnesso) ritmo tribale di Nick Knox.
Una proposta unica, una visione assolutamente alternativa del rock negli ultimi ’70 e i primi ’80, i Cramps di “Songs the Lord Taught Us” sono un rigurgito di rock autentico inimitabile.
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Ma la nostra riflessione non finisce qui, la prossima volta vorrei soffermarmi su due album diametralmente opposti, ovvero “The Velvet Underground & Nico” (1967) e “Larks’ Tongues in Aspic” (1973), ma stavolta cercheremo di capire perché il primo è un capolavoro universale mentre il secondo lo è solo di composizione (attirandomi così le critiche più aspre che abbiano mai assalito un blog rock).