Archivi tag: Tom Jones

Tiga – Sexor

Tiga-Sexor-Frontal

Questo blog tenta di solito di ospitare album rockeggianti, sette sataniche, orge, festini dove – ok, manca la figa, ma non manca mai la birra. Però stavolta mi piego alle esigenze fisiologiche, mi inchino di fronte all’id, perché a tutti noi capita di tanto in tanto di smarrire la retta via una volta nella vita. No?

Era il 2006, sedici anni appena compiuti e una tragica carriera al liceo artistico ancora da scoprire pienamente. Tra una manifestazione e una occupazione cercavo di definire il mio orientamento sessuale ascoltando qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano. Non vado molto fiero di quegli anni.

Ok, ascoltavo il soft rock dei Pink Floyd, ma anche i Sonata Artica, i Freedom Call, gli Slipknot e sì: anche gli Arch Enemy. Tra le altre merdate mi avvicinai anche all’elettronica con un salto lungo (ma che dico: lunghissimo) passando direttamente da “Alpha Centauri” dei Tangerine Dream (tutt’ora il mio album preferito per una serie di ragioni che forse un giorno spiegherò al mondo) ai rave.

Oddio, ma c’è davvero qualcuno che sta leggendo tutte queste mie cazzate?
Comunque, meglio andare al sodo.

Scopro Tiga, un famoso dj canadese, proprio durante questi anni di confusione e ricerca di me stesso. Nell’ambito di chi se ne intendeva Tiga era già un nome noto, celebre remixatore e mattatore di serate allucinanti. Dopo più o meno dieci anni che era nel settore decide di pubblicare un album nel 2006.

Raramente gli album dei dj volano nelle classifiche, e ancor più raramente finiscono nei miei scaffali accanto ai Black Sabbath. Ma così fu.

Quello che secondo me la gente si ostina a non capire è che “Sexor”, il tamarrissimo debutto di Tiga, è che non è “solamente” un album di musica elettronica, ma è (nell’ordine):

  • la sintesi di suoni e effetti che andavano un casino in quegli anni
  • un disco che parla di un pianeta di nome “Sexor” (e scusa se è poco)
  • il miglior album pop di tutti gli anni ’10 del 2000

Non c’è un pezzo di “Sexor” che non sia una perla pop di rara bellezza. Come pop non è mica tecnicamente chissà che, certo, per molti versi è anche al di sotto di una certa media, ma non è comunque pop da classifica. L’operazione di Tiga, che non riuscirà a ripetere col secondo album, è stata quella di creare, senza nessuna consapevolezza, un concept album pop senza le dannate chitarre del cazzo, senza coretti in falsetto freschi freschi da “Surfin’ USA” (Beach Boys, 1962), senza la imbarazzante pretesa intellettuale di Oasis, Verve e Blur, ma con l’esperienza di un artigiano dei rave del cazzo.

Collaborando con decine di compagni dj l’album è una eccezione anche nelle cover. Invece delle solite band Tiga prende in prestito Down In It dal bellissimo album d’esordio dei Nine Inch Nails (“Pretty Hate Machine”, 1989) e la fondamentale Burning Down the House dei Talking Heads (“Speaking in Tongues”, 1983). La versione di Down In It è clamorosa e ridisegna in chiave pop Trent Reznor come nessuno prima e dopo questo album. Ai Talking Heads viene ridata dignità dopo quella oscenità perpetuata da Tom Jones degnamente seguito dai The Cardigans.

Sia ballabili che ascoltabili, le tracce di “Sexor” sono quanto di meglio abbia mai ascoltato nella musica commerciale non per forza auto-referenziale.

Dio santo, dopo questa recensione mi sento stranamente sporco…

Ohi ohi, ora mi devo purgare ascoltando per il resto della giornata “The Faust Tapes”…